Il caso Bibbiano, nonostante le strumentalizzazioni politiche, è solo la punta di un iceberg su un sistema, quello degli allontanamenti e degli affidi, che evidentemente ha più di un punto debole. Ieri il Salvagente ha pubblicato la storia di Laura, una donna che si è vista trascinare in nove mesi di incubo, separata a forza dal figlio in maniera ingiusta. Non l’unica testimonianza delle falle di questo sistema.
Lo dimostra la denuncia – anche questa raccolta dal nostro giornale più di un anno fa – di Francesco Morcavallo che è stato giudice al Tribunale dei minorenni. Fino a che non
si è scontrato a Bologna contro la decisione di togliere la patria potestà ai genitori
del piccolo Devid. E ora ha scelto di fare l’avvocato per non scendere a compromessi.
Sono centinaia gli allontanamenti coatti di minori dalle loro famiglie che avvengono ogni anno e che finiscono sui tavoli degli avvocati o del Comitato dei cittadini per i diritti umani (Ccdu). Allontanamenti spesso ingiustificati, di bambini dati in affido o alle comunità, a guardare le pratiche, sebbene la legge dica chiaramente che si debba fare tutto il possibile affinché i minori restino con le loro famiglie, organizzando tutte le forme di sostegno necessarie.
Gli ultimi dati disponibili prodotti dall’Istituto degli Innocenti per il ministero risalgono al 2010 e contano quasi 30mila bambini (i prossimi “Quaderni” di raccolta dei dati usciranno a luglio e si riferiranno al 2014), l’Istat parla per il 2014 di 20mila ragazzini accolti esternamente alla famiglia in strutture socio-residenziali.
Ma per gli avvocati che se occupano sono molti di più. Così come per Francesco Morcavallo, che ha condotto e conduce una lotta durissima contro le modalità e le prassi con cui a suo avviso avvengono gli allontanamenti di minori: provvedimenti che ha potuto osservare sia da giudice del Tribunale per i minorenni fino a qualche anno fa, sia da legale, oggi, dopo la decisione di lasciare la toga di giudice, deluso e deciso a combattere la lotta da fuori, senza scendere a compromessi.
A Bologna, nel 2011, si scontrò contro il provvedimento che prevedeva di togliere la patria potestà (nei confronti degli altri due figli) ai genitori del “piccolo Devid”, morto di freddo in Piazza Maggiore: un caso che ebbe molta eco sulla stampa e su cui fu dura la battaglia di Morcavallo e del collega Guido Stanzani, perché la decisione del Tribunale fu presa, secondo Morcavallo, senza un’accurata istruttoria sull’accaduto. Lui fu allontanato da Bologna ma poi la Cassazione gli diede ragione e tornò nel capoluogo emiliano: “Ma mi tolsero tutti i fascicoli che stavo seguendo. Ero soggetto a pressioni: me ne sono andato, e adesso cerco di aiutare questi bambini da fuori”.
Sono denunce molto pesanti quelle che fa. Può spiegarci cosa accade quando viene allontanato un bambino?
La prassi diffusa è quella di allontanare i bambini solo sulla base di semplici segnalazioni anche senza precise motivazioni verificate, quando invece la legge prevede che i minori restino nelle proprie famiglie, provvedendo semmai ad un sostegno laddove necessario. Lo dice la legge ma si tratta anche di un diritto primario, motivo per cui il nostro paese è stato spesso condannato per aver leso questi diritti dalla Corte europea.
Il disagio economico prevede per legge l’allontanamento?
No, mai.
Quali sono le motivazioni per cui si allontana?
Ribadiamo innanzitutto che l’allontanamento dovrebbe essere una misura estrema, motivata da ragioni estremamente serie. Purtroppo 99 volte su 100 non esistono. O sono vaghissime, incomprensibili, assurde: anche “l’atteggiamento troppo amorevole” viene addotto spesso come motivazione, per fare un esempio. Ho letto di tutto: considerazioni da manuali di psicologia di 70 anni fa… Ciò che manca è una seria attività istruttoria. Troppo spesso – anzi, quasi sempre, purtroppo – accade che vengano letteralmente copiate e incollate le relazioni degli assistenti sociali: non vengono interrogati i genitori e non si procede ad un confronto tra le versioni dei fatti. E poi, anche quando si riesce a stabilirlo, non si rimedia. Non si applica la normativa prevista in merito, ad esempio le interazioni con la famiglia affidatarie non esistono. E nelle comunità si esercitano molto spesso pressioni – quando non anche minacce – ai bambini, soprattutto quando ci sono interessi in ballo.
Perché accade, secondo lei?
Per ignoranza. O per acquiescenza dei giudici a un certo tipo di orientamento diffuso, talvolta anche per vicinanza tra i Tribunali dei minorenni e le strutture. L’allontanamento, in fondo, è uno strumento che deresponsabilizza.
Descrive un panorama molto preoccupante e anche poco noto all’opinione pubblica, almeno nella misura da lei descritta, dove sembra scomparire il concetto di “umanità”…
Dentro ai Tribunali dei minorenni dovrebbero lavorare quei giudici a cui richiedere uno sforzo in più rispetto a ciò che viene chiesto ad altri. E invece avviene tutto il contrario.
Ciò che sta descrivendo è accaduto anche per il caso bolognese che riguardava Devid, vero?
È accaduto per Devid e per molti altri casi. Solo che quel caso in particolare ha avuto una notevole risonanza mediatica. In quell’occasione mi opponevo al fatto che venissero prese delle decisioni senza un’istruttoria. Ho avuto molte pressioni e anche la sottrazione del fascicolo, cosa che non si può assolutamente fare. Comunque poi la Cassazione ha annullato il mio allontanamento. Tuttavia, quando sono tornato non si voleva che mi fossero affidati i casi su cui stavo lavorando. ‘Occupati di altro’, mi veniva detto. Ovviamente non potevo accettarlo e ho lasciato quel ruolo e oggi cerco, come altri avvocati, di aiutare le famiglie e i bambini, anche se non è l’unico campo in cui opero.
Cosa bisognerebbe fare, a suo avviso?
Bisogna assolutamente tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema, difendere le persone ponendo tutte quelle questioni che non vengono poste. Ma sarebbe necessaria una riforma politica che espliciti il nesso tra fatti e provvedimenti, adeguarsi alla Corte europea. Non si può accettare che le comunità e gli affidi suppliscano ad una mancanza di welfare.