Progresso contro salute, sperimentazione contro precauzione. Anche nel caso del 5G va in scena lo scontro che ha animato tutti i passaggi tecnologici cruciali. Da una parte cittadini e soprattutto scienziati che sulla base dei dati già disponibili temono che l’aggiunta ulteriore di emissioni elettromagnetiche aumenterà i rischi per la salute umana, dall’altra chi, tra gli esperti, sostiene che i rischi sono minimi, almeno stando alle conoscenze attuali.
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Nel mezzo le compagnie che hanno già dato il via alle offerte commerciali, come hanno già fatto Vodafone e Tim, dando vita a una rincorsa difficile da fermare.
Poco conta che oltre 180 ricercatori e medici, provenienti da 36 Stati, nel 2017 abbiano chiesto alla Commissione europea una moratoria del 5G per le gravi preoccupazioni per la salute correlate all’aumento dei livelli di radiofrequenza nell’ambiente.
Tutti irradiati, ma nessuno sa con quali effetti
A supportare la preoccupazione due studi su tutti: uno del National toxicology program (Ntp) degli Stati Uniti, che nel 2018, ha pubblicato i risultati del lavoro condotto su ratti e topi, esposti a radiofrequenza; l’altro è dell’Istituto Ramazzini di Bologna, del marzo dello stesso anno, pubblicato su Environmental Research. Fiorella Belpoggi, direttore del Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini, spiega al Salvagente: “Gli studi fatti fino a ora riguardano lo spettro delle radiofrequenze fino al 3G. Sia il nostro studio che quello del National toxicology program Usa hanno rilevato gli stessi tipi di tumore negli animali testati: al cervello e alle cellule nervose periferiche, al nervo acustico e facciale. Sono gli stessi rilevati nei manager che negli anni 80 utilizzavano già i cellulari e hanno fatto causa alle loro aziende”.
A partire da questi risultati, Belpoggi ragiona: “Dal punto di vista dell’impatto per la salute il problema è che del 5G non si sa nulla. Non sono mai state studiate le onde millimetriche, non c’è nessun giudizio né pro né contro. É assurdo diffonderlo senza informazioni sul suo impatto sugli organismi viventi”. Anche perché “non esiste nemmeno un insetto che non sarà irradiato dai raggi 5G. Lo scopo dell’industria è non lasciare nessuno spazio non connesso”.
Intanto, le onde elettromagnetiche sono state inserite dalla Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, nella categoria 2B, come “possibilmente cancerogeni per gli esseri umani: agenti per i quali vi è una limitata prova di cancerogenicità”. Tanto per capirci non ci sono sufficienti prove di cancerogenicità su animali di laboratorio.
La classificazione è precedente ai due studi sopra citati, e Belpoggi spiega: “Sulla probabile cancerogenicità delle onde elettromagnetiche, l’Oms si esprimerà a breve, visto che sulla base dei nostri studi ha stabilito emergenza e priorità di valutazione per questo argomento”.
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“Irradiazioni non preoccupanti”
Di tutt’altro parere è Valerio De Santis, docente di Elettrotecnica all’Università dell’Aquila e membro del Comitato tecnico internazionale sull’esposizione ai campi elettromagnetici: “Lo studio dell’Istituto Ramazzini è sicuramente serio e ben condotto, ma a mio parere le conclusioni da trarre non sono quelle di Belpoggi, che trovo allarmistiche”. La convinzione di De Santis è dovuta al fatto che i topi irradiati sono stati sottoposti a una intensità di 50 volt a metro quadro, quando i limiti di legge sono di 6 volt, per 19 ore al giorno, per tutta la vita: “Consideriamo che siamo esposti tutti normalmente alle onde elettromagnetiche 24 ore al giorno, e il peso di quelle naturali è dell’80% circa, ma nella vita reale per ottenere un’irradiazione forte come quella dello studio, serve una sorgente molto potente, come se stessimo 19 ore al giorno vicino al traliccio di un ripetitore televisivo” spiega l’esperto.
Peggio il 3G e il Wi-fi
De Santis aggiunge che il 5G per sua natura è meno penetrante del 3G nell’organismo umano. “Ammesso e non concesso che non penetrino nel corpo ma solo nell’epidermide come i raggi ultravioletti – ribatte Fiorella Belpoggi – parliamo di possibili problemi come melanomi, cose serie”. E mentre De Santis, invita a rivolgere l’attenzione piuttosto su wireless e bluetooth, che “per tipo di frequenza sono più invasivi”, Fiorella Belpoggi fa un appello: “A chi giova una nuova tecnologia per altro non richiesta dalla popolazione? Se fosse limitata a ospedali e in ambito militare, che hanno bisogno di elaborare grandi quantità di dati in poco tempo, per esempio, sarebbe molto meglio. Non voglio tornare all’età della pietra, le aziende devono investire in sicurezza, è diverso.” E anche De Santis si augura che i limiti di legge non vengano alzati per il 5G.