Sono passati 6 anni da quando, l’11 settembre del 2012, oltre 250 lavoratori sono morti in un incendio scoppiato alla Ali Enterprises di Karachi, in Pakistan. I familiari delle vittime e dei sopravvissuti sono stati in Italia il 3 e il 4 dicembre insieme alle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e dei lavoratori nella tappa conclusiva della “Week of Justice“, la settimana della giustizia, partita a Ginevra il 26 novembre e proseguita alla Bochum University e al tribunale di Dortmund, in Germania.  “Siamo qui – ha spiegato Deborah Lucchetti, di Abiti Puliti – perché abbiamo due domande ancora senza risposta: di chi era la responsabilità di quelle morti? Cosa chiedono oggi le famiglie delle vittime perché sia ottenuta piena giustizia”
La storia di Ayan
L’azienda tedesca di distribuzione di abbigliamento Kik Textilien und Nonfood GmbH, l’unico importante acquirente della Ali Enterprises, ha accettato di versare un milione di dollari per feriti e familiari delle vittime e di negoziare un risarcimento di lunga. Saeeda Khatoon, il cui figlio di 18 anni, Ayan è morto nel rogo della Ali Enterprises, dove lavorava da 4 anni, ha dichiarato: “Abbiamo ricevuto un indennizzo parziale ma vogliamo giustizia anche da parte di Rina, il revisore (azienda italiana, ndr) che ha rilasciato un certificato di morte: esigiamo delle scuse e un risarcimento completo”. Ben Vanpeperstraete, coordinatore della Clean Clothes Campaign, ha aggiunto: “Gli incendi possono accadere ma quello alla Ali Enterprises era evitabile. La conseguenze tragiche del rogo potevano essere scongiurate con allarmi e estintori funzionanti, con uscite di sicurezza adeguate, e una scala di emergenza”. Rina deve chiedere scusa alle vittime e deve risarcire i danni, ma è fondamentale che si compiano delle azioni strutturali, perché quello di Karachi non è stato un evento isolato”, “C’è un problema sistemico: chi controlla i controllori?”.
La causa in corso in Italia
In Italia, l’European Center for Costitutional and Human Rights sostiene la causa penale per la responsabilità della RINA, in corso a Genova, per il reato di falsificazione della certificazione rilasciata alla fabbrica. Deborah Lucchetti ha quindi aggiunto: “Lo scopo ultimo è riuscire a fare un passo avanti e migliorare il monitoraggio delle filiere perché il controllo è stato privatizzato, mentre c’è necessità di enti pubblici che verifichino e di sindacati dei lavoratori più forti, coinvolti direttamente nei processi”. E in nome delle richieste dei consumatori Alessandro Mostaccio del Movimento Consumatori ha concluso: “Il controllo è quanto mai necessario in filiere complesse come quelle create a seguito di decenni di delocalizzazione. È fondamentale verificare la catena dei fornitori e dei subfornitori, non per un formalismo della trasparenza e una pura azione di green washing, ma perché un consumatore consapevole ha il potere di cambiare il sistema, attraverso un consumo responsabile”.