In discussione in questi giorni in Parlamento, il disegno di legge n. 735, il cosiddetto ddl Pillon, dal nome del senatore leghista primo firmatario della proposta fa discutere nella maggioranza (dove il vicepremier Di Maio ha detto chiaramente che andrà corretto) e non
solo. Domani in circa 60 piazze italiane manifesteranno i contrari ma il carnet delle audizioni in Commissione è lungo, tante sono le parti interessate a dire la loro sulla proposta di “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”: avvocati, psicologi, associazioni di padri separati, associazioni a tutela delle donne, Garante dell’Infanzia, mediatori familiari.
Insomma, prima di dichiarare ufficialmente che la legge attualmente in vigore, la n. 54 del 2006, ha fallito nel suo intento di eliminare le conflittualità tra gli ex e assicurare ai minori di mantenere legami forti e sereni con entrambi i genitori, si darà battaglia.
Quello che non ha funzionato sull’affido condiviso
D’altro canto, però, se la rivoluzione dell’affido condiviso dei figli – introdotto nel 2006 quale regola generale, mentre l’affido esclusivo a un solo genitore è rimasta come ipotesi eccezionale – non ha dato i suoi frutti, qualche domanda è giusto porsela.
Sulla carta, infatti, dal fatidico 2006 l’affido del minore a entrambi i genitori è stato accordato nell’89,4% dei casi (dati Istat relativi al 2015). Ciò significa che quasi sempre entrambi gli ex coniugi conservano la potestà genitoriale e assolvono agli obblighi di mantenimento del figlio. Cos’è andato storto allora, se è vero che sono tanti i padri che lamentano di non riuscire a stare abbastanza tempo con i figli?
Il fatto è che, pur nella condivisione dell’affido, il minore ha un domicilio prevalente, e il genitore collocatario, nelle scelte dei giudici, è quasi sempre la madre. Con il risultato che i padri spesso non riescono a frequentare i figli quanto vorrebbero, mentre le madri conservano una relazione quotidiana privilegiata. La scelta è fatta, per legge, guardando all’interesse del minore, ma forse è frutto anche di un pregiudizio culturale che pone la figura paterna in secondo piano nella cura dei figli. Ciò spesso aumenta la conflittualità tra gli ex, con grave danno per i minori, troppo spesso usati per farsi la guerra o trattati alla stregua di pacchi postali da depositare di qua e di là, secondo le necessità degli adulti.
Allora, con tutta probabilità, di un intervento innovatore c’è bisogno. Ma il ddl Pillon è in grado di assolvere a questo compito?
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Il giudice con la calcolatrice
Il testo presentato, in realtà, è stato fin da subito oggetto di fortissime critiche e quasi certamente uscirà modificato dopo il confronto con le parti interessate. A non convincere innanzitutto è la rigida idea di bigenitorialità perfetta contenuta nella legge, che si traduce in una suddivisione esattamente a metà dei tempi e delle condizioni di affido dei figli: l’art 11 sancisce, infatti, il diritto del minore a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, “paritetici ed equipollenti”, salvi i casi di impossibilità materiale, anche se ne fa richiesta uno solo dei genitori; e si garantisce comunque la permanenza di non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre. Una divisione puramente matematica del tempo che per molti non tiene conto delle esigenze dei figli.
Altri punti “caldi” riguardano l’eliminazione dell’assegno di mantenimento per i figli, sostituito da una forma di mantenimento diretto, l’addio all’assegnazione della casa familiare e l’obbligatorietà della mediazione familiare, come condizione necessaria da espletare prima di presentarsi davanti al giudice.
Tutto questo mentre l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha stilato il decalogo dei diritti dei figli dei separati, che suona come un monito per tutti: non perdiamo di vista i bambini, è attorno a loro che deve ruotare ogni decisione, sono i loro bisogni che devono venire prima di quelli dei genitori in crisi. “I bambini e i ragazzi – ha riassunto Filomena Albano, Garante dell’infanzia, alla presentazione della Carta i primi di ottobre – hanno diritto a preservare le relazioni familiari, a non esser separati dai genitori, a mantenere rapporti regolari e frequenti con tutti e due e, soprattutto, a essere ascoltati sulle questioni che li riguardano”.