Domenica si vota a Roma il referendum: le ragioni del Sì e quelle del No

Settecentomila, voto più voto meno. Tanti ne serviranno domenica a Roma per rendere valido, superando la contestata soglia del 33,3% di affluenza prevista dal quorum, il referendum consultivo promosso dai Radicali per chiedere la messa a bando del servizio di trasporto pubblico locale oggi gestito dall’Atac. Una soglia che per molti appare una sfida impossibile considerando che 700mila voti sono poco meno di quelli che nel 2016, al primo turno delle elezioni amministrative che portarono Virginia Raggi Campidoglio, furono raccolti insieme dall’attuale sindaca e dal candidato di centrosinistra poi sconfitto al ballottaggio Roberto Giachetti. Anche perché, e questo è un dato, il referendum di domenica a Roma è semiclandestino considerato che non se n’è vista traccia sulle comunicazioni pubbliche del Comune, fatti salvi sparuti manifesti di convocazione elettorale e scarne mail inviate agli iscritti al portale di Roma Capitale, e che il dibattito è rimasto confinato ai margini dell’interesse pubblico.

Eppure a Roma, ogni giorno, sono quattro milioni i passeggeri che viaggiano sui mezzi Atac e il trasporto pubblico, assieme alla raccolta rifiuti, secondo l’ultimo report sulla qualità della vita e dei servizi della Capitale è il vero tallone d’Achille dell’amministrazione capitolina. Nonostante questo, però, a Roma pochi sembrano sapere che domenica si voterà, quasi nessuno ha una idea precisa su cosa si voterà e molti non sanno neanche dove potranno farlo. Certo non ha aiutato il rinvio della data fissata e annunciata, inizialmente prevista per il 4 giugno ma poi posticipata per evitare la concomitanza con le elezioni nei Municipi III e VIII, né aiuterà la decisione della giunta Raggi di applicare alla consultazione le vecchie norme di Roma Capitale (che prevedevano appunto il quorum) nonostante la consultazione sia stata indetta il 31 gennaio scorso, giorno in cui è stato approvato il nuovo Statuto comunale che ha eliminato la soglia di affluenza minima per la validità del referendum consultivo.

I due quesiti

Sono due e riguardano la messa a bando dei servizi di trasporto pubblico locale oggi gestiti in affidamento diretto da Atac. Affidamento recentemente rinnovato fino al 2021 nelle more del concordato a cui ha avuto accesso l’azienda di proprietà del Comune di Roma per evitare il fallimento. Pratica che però l’agenzia nazionale anticorruzione ha bocciato parlando di “gravi perplessità” e “seri dubbi sulla legittimità della proroga”. Il primo quesito chiede ai romani di esprimersi sulla possibilità “che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori”. Il secondo, invece, verte sulla possibilità che l’amministrazione favorisca e promuova l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza”. Tradotto significherebbe che, secondo il progetto dei promotori del referendum, dopo lo svolgimento del bando di gara la funzione di pianificazione e controllo del servizio pubblico resterebbe all’ente pubblico che continuerebbe a disegnare le linee, a stabilire il costo del biglietto, e indicare la frequenza con la quale passano gli autobus. Lo svolgimento materiale del servizio sarebbe invece compito del vincitore della gara il cui operato sarebbe sottoposto alla stretta sorveglianza dell’ente pubblico. Il non rispetto di quanto indicato nel contatto di servizio e degli standard fissati sarebbe causa di sanzioni che potrebbero arrivare fino alla revoca della concessione. Il servizio, anche se eventualmente diviso in più lotti, verrebbe sempre svolto in monopolio e a condizioni di qualità e prezzo stabilite dal contratto di servizio siglato con Roma Capitale. Il secondo quesito del referendum propone invece la promozione di ulteriori servizi di trasporto collettivo come car o bike sharing all’interno di un quadro di coordinamento pubblico.

Il fronte del sì

Il referendum è promosso dai Radicali e dalla lista +Europa che nell’agosto del 2017 hanno depositato in Campidoglio le 33mila firme raccolte per chiedere la consultazione. Presidenti del Comitato promotore “Mobilitiamo Roma” sono il deputato di +Europa e ex segretario dei Radicali Italiani Riccardo Magi, il consigliere regionale del Lazio di +Europa Alessandro Capriccioli e Francesco Mingiardi della direzione dei Radicali Italiani. “C’è stata una strategia evidente mirata a far fallire la consultazione – attacca Alessandro Capriccioli – il Comune non ha voluto neanche approfittare dei soldi che siamo riusciti a mettere a disposizione in Regione per finanziare l’invio di lettere informative a casa dei cittadini in caso di consultazione referendaria. Semplicemente, non hanno fatto nulla per promuovere la consultazione. Anzi non hanno perso occasione, dalla sindaca in giù, per boicottarla”. “Ma questa  – prosegue Capriccioli – è l’occasione per ridare al soggetto pubblico la dignità che oggi non ha più affidandogli esclusivamente il compito di organizzare, programmare e pianificare il servizio e liberandolo della gestione di una azienda come Atac che peraltro è tecnicamente fallita. Si è ingenerato un equivoco per cui a Roma Atac e servizio pubblico sono sinonimi: questo, però, non è un referendum sull’Atac ma su un servizio di trasporto pubblico che spetta ai cittadini e che oggi i cittadini in queste condizioni non hanno”.

Sul fronte del “Sì”, seppur al fotofinish e non senza defezioni e tensioni interne, si è ufficialmente schierato anche il Partito Democratico che nei giorni scorsi ha annunciato la propria posizione decisa dopo una consultazione interna con gli iscritti. “La liberalizzazione – ha spiegato l’ex vicesindaco e assessore alla Mobilità della giunta Rutelli Walter Tocci – ha il vantaggio che se il privato non funziona lo puoi mandare via mentre il monopolio basato sull’attuale affidamento in house crea per il Comune un conflitto di interessi che non può funzionare”.

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E quello del no

Schierati per il “No”, ci sono tutti gli altri: dal Movimento 5 Stelle ai partiti di centrodestra, dai sindacati ai comitati dei lavoratori Atac fino ad arrivare alla sinistra “radicale” e al consigliere comunale di Sinistra Italiana Stefano Fassina che insieme all’ex assessore della giunta Raggi Paolo Berdini ha fondato del comitato “Atac Bene Comune”. “L’esperienza – spiega il deputato di Leu – ci insegna che quando dei privati entrano in quelli che io chiamo ‘monopoli naturali’ i risultati sono pessimi”. Al comitato civico “Mejo de no” hanno invece aderito anche tanti iscritti del Pd, fra loro anche il consigliere regionale e membro della Commissione Trasporti alla Pisana Eugenio Patané, delusi dalla scelta del partito. “Il malfunzionamento del tpl romano non dipende soltanto dalla sua gestione – spiega il presidente Francesco Di Giovanni, ex assessore ai trasporti del I Municipio ai tempi della Giunta Alemanno – il problema è la perdurante assenza di investimenti e opere infrastrutturali. Non è il cambio di gestione fra pubblico e privato che può cambiare la qualità di un servizio strutturalmente incapace di funzionare in maniera adeguata. Serve un atto di responsabilità politica”. “Il referendum ha valore consultivo – ha tagliato corto la sindaca Raggi – Qualunque sarà il risultato ne terremo conto per migliorare sempre di più. La nostra sfida è quella di dire che Atac può invece essere efficiente restando pubblica. I privati – ha concluso – già gestiscono alcuni autobus come Rom Tpl e cittadini che li utilizzano a stanno bene quanti problemi ci sono”.

Il disastro Atac

Certo non se la passa meglio Atac, stando almeno a leggere i dati del primo semestre 2018. Nonostante i proclami trionfanti della giunta dopo l’approvazione del concordato, infatti, i numeri elaborati dall’azienda dei trasporti raccontano infatti che se da gennaio a giugno le linee della Metropolitana hanno fornito un servizio in linea a quanto previsto dall’accordo con il Campidoglio (in media inferiore del 4,5% con punte di oltre il 7% in meno a gennaio) per autobus, tram e filobus della Capitale i primi sei mesi dell’anno sono stati una vera Caporetto con circa 8 milioni di chilometri in meno rispetto a quanto previsto (neanche 43,3 milioni di chilometri percorsi, contro gli oltre 51 milioni inseriti nel contratto con il Comune di Roma). In media il 15,1% in meno, che per gli utenti delle linee di superficie è significato circa 4mila corse saltate ogni giorno, 17 in meno su ognuna delle 249 linee di superficie che servono quotidianamente la Capitale. Numeri che nel 2018 sono addirittura peggiorati rispetto all’anno precedente, chiuso con un bilancio in rosso di circa 120 milioni di euro, quando nei primi sei mesi la flotta di superficie aveva percorso “soltanto” 6,2 milioni di chilometri in meno (il 12,4% in meno) rispetto a quanto previsto dal contratto di servizio. Causa principale dei disservizi, oltre al taglio delle corse deciso dalla direzione dell’azienda per restare dentro ai parametri di budget, i guasti che vanno a insistere su una flotta troppo anziana (più di 11 anni l’età media) la cui operatività è ridotta drammaticamente a causa della scarsissima manutenzione.

Dove e come si vota

Urne aperte domenica fra le 8 e le 20 nei consueti seggi elettorali, salvo modifiche alle sezioni che possono essere verificate con gli uffici comunali. Lo scrutinio si svolgerà immediatamente dopo la chiusura dei seggi. Possono partecipare al voto tutti gli aventi diritto e coloro come cittadini o studenti non residenti a Roma o cittadini stranieri legittimamente presenti sul territorio e residenti o domiciliati nella Capitale, che si siano registrati fra il primo ottobre e il 3 dicembre dell’anno precedente alla consultazione. Per esercitare il diritto al voto l’elettore dovrà presentare un documento valido e la tessera elettorale nella quale però, essendo un referendum cittadino, non verrà posto alcun timbro. All’elettore verranno consegnate due schede di colore diverso, una per ciascun quesito referendario.