Oggi è l’Earth day, la giornata mondiale della Terra, pensata per ricordare a tutti i gravi rischi che corre l’ecosistema a causa delle attività dell’uomo e del forte inquinamento che producono. Tra queste, una parta rilevante a legata all’utilizzo di plastica. Come ricorda Greenpeace, ogni minuto, 365 giorni l’anno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce in mare. E i danni legati alla dispersione nell’ambiente della plastica non sono solo dovuti alla possibilità che finiscano nel sistema digerente di pesci e uccelli, che possono inoltre morire rimanendovi impigliati, ma anche a delle particelle microscopiche, chiamate appunto microplastiche. Queste sono contenuto anche nelle creme usate per la cosmesi. Tra questi, il dato più allarmante degli ultimi anni riguarda le microsfere di plastica contenute in prodotti per l’igiene personale, come dentifrici, esfolianti, creme solari e antirughe (filler). Minuscole particelle che però, una volta sciacquate, finiscono nelle condutture del lavandino o della doccia fino a raggiungere i corsi d’acqua, le falde e il mare. Secondo un’inchiesta su scala mondiale condotta da Orb Media, un portale di informazione no-profit di Washington, ben l’83% delle acque che sgorgano dai rubinetti di tutto il mondo è contaminata da microplastiche.
Minuscole, ma causa di grandi problemi
Le microsfere di plastica hanno un diametro inferiore a mezzo millimetro, tanto piccole da non essere trattenute dagli impianti di depurazione. Ingerite dai pesci, arrivano anche sulle nostre tavole, come hanno spiegato i ricercatori nello studio pubblicato sulla rivista Sustainable Chemistry & Engineering, secondo cui per ogni doccia fino a 100mila microsfere possono finire negli oceani, contribuendo agli 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici che ogni anno arrivano in mare. “Il rischio c’è, bisogna ridurre l’immissione inquinante e approfondire gli effetti sulla salute umana”, spiega Giuseppe Ungherese responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace. Ma il problema principale riguarda la normativa: “Non c’è una legge che regola l’immissione di queste sostanze nell’ambiente e chiediamo ai governi di intervenire e di limitare il più possibile l’utilizzo delle plastiche a cominciare dagli imballaggi commerciali”.
Il programma Onu
E proprio per contrastare questo fenomeno il Programma Onu per l’ambiente (Unep) porta avanti la campagna #CleanSeas, con cui chiede ai governi di metterle al bando insieme agli oggetti monouso di plastica entro il 2022. In Italia, un disegno di legge firmato dall’allora presidente della Commissone ambiente della Camera, Ermete Realacci, che nel 2016 chiedeva il bando dei prodotti cosmetici con microplastiche, è rimasto lettera morta.
Le aziende più consapevoli
Nel 2016, Greenpeace East Asia ha stilato una classifica sugli impegni delle aziende per eliminare le microplastiche. Quattro erano le aziende con le prospettive migliori: Beiersdorf e Henkel (Germania), Colgate-Palmolive e L Brands (Stati Uniti). Altre aziende, come le statunitensi Revlon, Amway e Estee Laudeer, avevavo mostrato uno scarso impegno. Ma nessuno dei 30 marchi internazionali presi in esame aveva soddisfatto tutti i criteri di valutazione necessari per garantire la protezione dei mari dall’inquinamento da microplastica. E queste non sono le uniche sostanze dannose per l’ambiente contenute nei cosmetici. Già nel 2006 la rivista scientifica Acquatic Toxicology pubblicava una ricerca statunitense che segnalava gli effetti del triclosan, un comune antibatterico e conservante utilizzato in cosmetica sul sistema endocrino di alcune specie animali.