“Lavorare con Cuochi a colori per me è un’esperienza bellissima: si possono conoscere tante persone, entrare nelle loro case, preparare cibi buonissimi e intanto raccontare la nostra cultura. Così ci si sente subito più vicini”.
Fatima, giovane donna arrivata dal Marocco sette anni fa a Milano, non fa che ripeterlo: “Questo incontro per me è stato fondamentale”.
L’incontro è quello con Cuochi a colori, appunto, un progetto che è parte dell’impresa One world nata da un’idea di Donatella Forcone, architetta attiva da sempre nell’associazione Arcobaleno che da 30 anni si occupa di integrazione e accoglienza. Osservando le schede delle persone che arrivavano in associazione, Forcone si rendeva conto che nella maggior parte dei casi si ritrovavano tutte a fare gli stessi lavori – colf, badanti, manovali – pur avendo altre competenze e passioni nei loro paesi di origine. Tante donne avevano ad esempio dichiaravano di avere una grande passione per la cucina.
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Passaporto cibo
“Abbiamo iniziato a ragionare – racconta Maricla Pennesi, dottore commercialista e socia di Donatella in questa avventura -; in Italia e senz’altro a Milano l’interesse nei confronti del cibo è molto alto, l’Expo era alle porte e il cibo ci è parso davvero un passaporto”.
E così tre anni fa è nato Cuochi a colori, inizialmente come progetto di cuoche a domicilio: “Oltre a cucinare, le donne coinvolte nel progetto, in queste occasioni, introducono il loro paese d’origine, le abitudini; la convivialità apre la strada all’accettazione e anche alla curiosità reciproca”, sottolinea Pennesi. Poi sono arrivati gli eventi esterni alle case: “Quello è stato il salto di qualità, necessario per farci conoscere ancora di più; abbiamo iniziato ad organizzare degli eventi nei locali che prendevamo in affitto; in quelle occasioni mostravamo e mostriamo tutt’ora dei filmati che raccontano brevemente l’esperienza di Cuochi a colori”. E ancora, grazie ad un crowfunding, è stato possibile in un secondo momento affittare un laboratorio e comprare le attrezzature necessarie per lanciarsi nel catering. Da quel momento Cuochi a colori ha cominciato a preparare banchetti per comunioni, battesimi, cresime e anche matrimoni, cene natalizie o sociali. E anche a collaborare con le scuole costruendo progetti didattici dedicati al cibo: “I bambini sono dotati di una mente particolarmente aperta”, riflette Pennesi, ed è più facile coltivare questa loro propensione all’accettazione dell’altro.
Cuochi a colori è riuscito a professionalizzare le proprie cuoche, che attraverso i corsi, hanno ottenuto le autorizzazioni a trattare gli alimenti. E da qualche tempo uno chef insegna loro anche ad impiattare.
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Eliane, Brasile, da modella a cuoca
“Il cibo è importantissimo ed è qualcosa che ti resta impresso nella mente, quando è cattivo e quando è particolarmente buono; io adoro fare conoscere il mio paese attraverso i piatti che preparo”, scandisce Eliane, cuoca brasiliana, la più ‘anziana’ del gruppo dal punto di vista della sua permanenza in Italia. “Vivo qua da 27 anni, ho fatto la modella e poi un po’ di tutto: cucinare mi è sempre piaciuto; una volta un’amica mi ha chiamato per un’emergenza nel ristornate brasiliano dove lavorava perché la cuoca aveva avuto un imprevisto e non si era presentata. In quell’occasione ho capito che cucinare poteva essere un lavoro e che si trattava certamente di un modo per sentirsi tutti più vicini”. Poi ho conosciuto Cuochi a colori ed è partita la nuova avventura. Eliane racconta che lavorare a fianco con le colleghe è davvero entusiasmante: “Scopriamo che nelle nostre rispettive tradizioni usiamo da sempre spesso gli stessi alimenti che però trattiamo e cuciniamo in modo diverso. C’è un filo che ci unisce, tutte quante, insomma, Mi fa tanto piacere vederle finalmente uscire di casa e cimentarsi in un’attività che le gratifica e che dà loro la possibilità di conoscere gente nuova. Io vivo qua da molti più anni e ho avuto altre possibilità, ma per loro è stato fino ad ora di certo più difficile ambientarsi e trovare una collocazione”.
Oggi, attorno a Cuochi a colori, gravitano una ventina di persone; una cuoca è assunta a tempo indeterminato, le altre si alternano, a seconda delle richieste che arrivano.
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Fatima, Marocco, “Porto in tavola le nostre storie”
“In Marocco ho imparato a cucinare da mia mamma, che preparava a casa tutto, dalla colazione al pranzo, la merenda e la cena – racconta Fatima, piena di orgoglio – la nostra casa era sempre piena di ospiti, si mangiava insieme e si chiacchierava. Adesso, dopo aver fatto la colf e la badante, finalmente posso fare ciò che mi piace anche in Italia. È bellissimo mostrare ai nostri ospiti come noi prepariamo la tavola, raccontare alle persone le cose più belle della nostra cucina tradizionale, che è poi anche la nostra cultura, e soprattutto incontrarsi e conoscersi: questa è la cosa più bella e di cui c’è tanto bisogno”.
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Viaggiare tenendo le gambe sotto il tavolo
Elaine è anche molto soddisfatta dai progetti che nascono con le scuole: “Credo che ci sia tanto bisogno di occasioni di incontro, di scambio, in generale, perché è ora di capire che ormai ogni città, ogni Paese è abitato da tante persone con origini lontane e diverse e solo conoscendosi ci si può accettare e rispettare. E cosa c’è di meglio del cibo per farlo?”.
Donatella e Maricla intanto pensano anche al futuro e a come dare spazio, attraverso One world, anche ad altre esperienze artistiche e artigianali di cui tanti stranieri residenti in Italia sono depositari, nella convinzione che – dare la possibilità di esprimersi a chi arriva e di incontrare culture nuove a chi c’è già – è senz’altro un’arma vincente per la convivenza. Sempre, comunque, continuando a conoscersi attraverso il cibo perché – come dice Maricla – con Cuochi a colori si può “viaggiare anche tenendo le gambe sotto al tavolo”.