L’altra Italia: l’esperimento Picasso Food Forest a Parma

Imitare i sistemi naturali per coltivare nel rispetto dei tempi e delle caratteristiche del territorio, dare cibo alle persone che si prendono cura di questo spazio rifuggendo da ogni metodo e tecnica industriale.

Fruttorti di Parma è un movimento di cittadini nato a Parma nel 2012. Picasso food forest è il progetto centrale. Chi volesse realizzare progetti simili può chiedere informazioni [email protected]

 

È il tentativo di Picasso Food forest, una sperimentazione in atto a Parma grazie al lavoro e all’entusiasmo di un gruppo informale di cittadini – Fruttorti – che collabora con il Comune perché i 5700 metri quadri messi a disposizione del Quartiere Picasso possano diventare una risorsa di cibo per gli abitanti, senza recinzioni e ostacoli.

Altro che orto

Ma che cos’è una food forest? Un’alternativa all’orto tradizionale con il quale si lavora a strati, a livelli, minimo tre, massimo sette. L’idea è che dall’albero a chioma grande al sottobosco, si creino le condizioni perché le diverse colture si sviluppino e si proteggano a vicenda.

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Non è, dunque, esattamente permacultura (metodo di coltivazione basato su principi ecologici con cui si progettano insediamenti agricoli simili agli ecosistemi naturali, in grado di mantenersi quasi del tutto autonomamente), ma della permacultura rispetta i principi fondamentali.

La sua particolarità è che può essere praticata sia su grandi appezzamenti che su piccolissimi, anche nel caso di spazi grandi un metro quadrato, basta che si segua il metodo. “Si coltiva nel modo in cui lo fa la natura, senza arature e prodotti chimici di sintesi seguendo i processi naturali di fertilità – spiega Francesca, anima di Fruttorti di Parma – identificando sette livelli o strati di coltivazione che noi abbiamo rispettato piantumando varie tipologie di piante: il primo prevede gli alberi di 9-10 metri di altezza, poi quelli di 3-6, di solito da frutto (mele, pesche, pere, albicocche, biricoccoli, susine, melograni, cachi, fichi), i cespugli fino a tre (arbusti di ribes, uva spina, josta, olivello spinoso, aronia, goji, goumi, lamponi, more), le piante erbacee e aromatiche (lo strato più vario che comprende anche ortaggi perenni come carciofi ed asparagi ed alcune piante annuali e biennali come leguminose annuali e cioè fave, ceci, piselli, poi bietole, girasoli e la famiglia dei cavoli), quelle tipiche strato di copertura (menta, melissa, fragole, valeriana, achillea, assenzio, boraggine ed origano), quelle sotterranee (agli, cipolle, patate, patate dolci, topinambur, rafano, bardana, cicoria, valeriana) e infine i rampicanti (luppolo, vite, kiwi, Dioscorea batata, cucurbitacee -cetrioli, zucche- e fagioli rampicanti”.

Importante è essere consapevoli che, in alcuni casi, ci possono volere anni o decenni per creare una food forest: dipende da qual è il punto di partenza. “In origine, nell’appezzamento di cui ci siamo presi cura a Parma, c’erano dieci alberi alti, aceri, ma la cosa fondamentale è iniziare”, sottolinea Francesca.

Nelle scuole

Fruttorti è nata il 23 dicembre 2012 e da quel momento in poi gli alberi della Picasso food forest sono 58, 51 gli arbusti e innumerevoli le piante erbacee di cui chiunque voglia può usufruire, senza restrizioni. Attorno a questa esperienza fondante per Fruttorti ne sono nate molte altre. “Abbiamo organizzato una serie di eventi e attività, innanzi tutto con le scuole della città. In 11 tra primarie (soprattutto) e materne abbiamo realizzato degli orti scolastici ma anche degli incontri – di solito tre – nei quali parliamo ai bambini di riciclo, compostaggio, spesa e consumo consapevole, di semina; poi facciamo l’orto e lasciamo che proseguano loro”, prosegue Francesca.

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A Fruttorti si sono anche inventati una sorta di “franchising” della food forest: se in altri quartieri della città o fuori da Parma qualcuno è interessato ad avviare un progetto simile, Fruttorti dà consulenza e sostegno. “Un’esperienza simile alla nostra è già nata a Reggio Emilia”, fa sapere l’animatrice dell’avventura di Parma. Sebbene il gruppo sia informale sono almeno una quindicina le persone particolarmente attive, poi ci sono tutte quelle che seguono le varie iniziative.

“Per adesso non sentiamo l’esigenza di costituirci in un gruppo formale anche perché possiamo avvalerci, quando necessario, del sostegno di altre associazioni. In più, da quando, grazie ad un regolamento attivato dal Comune, riusciamo ad agire entro confini normativi precisi, possiamo anche partecipare a bandi pubblici, come forse faremo in futuro”. Il nuovo ‘sogno’, infatti, adesso, è quello di costruire nella Picasso food forest una casetta – ovviamente che abbia tutti i crismi ecologici necessari – che funga da punto di ritrovo al riparo per chi gravita intorno a quest’area e non solo”, spiega Francesca.

La Festa del raccolto

Sensibilizzare e fare apprezzare la cultura della condivisione dei frutto della terra resta la missione principale, che ha risvolti anche sociali. Come è accaduto anche nel caso della Festa del raccolto che si è svolta all’inizio di dicembre: “Sembrava che potessero essere abbattuti 160 alberi di cachi che si trovano lungo le strade della città, a causa delle continue proteste di cittadini che lamentavano la sporcizia causata dai frutti che cadevano a terra. Così si è deciso di fare di meglio: mettersi insieme e raccogliere i cachi. Ne abbiamo messe insieme quasi due tonnellate che sono state date in beneficienza”.

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Ma di food forest si può vivere? “Per noi adesso è una passione, una filosofia di vita – ci dice Francesca  – sebbene certamente se progetti simili potessero anche essere dei lavori forse diventerebbero più solidi; adesso noi, comunque, ci concentriamo sulla solidità della partecipazione”.

https://testmagazine.it/2017/01/28/laltra-italia-la-storia-de-lisola-che-ce/18275/