La Corte commerciale di Tolone ha condannato la Poly Implant Prothese a risarcire 20mila euro ad alcune donne danneggiate dalle protesi mammarie dell’azienda francese. Il caso delle protesi difettose scoppia in Francia nel 2011. A far precipitare nel panico centinaia di migliaia di donne in tutto il mondo – la Pip è la terza azienda  – la decisione transalpina di richiamare 30mila donne portatrici di protesi Pip per rimuovere, in via cautelativa, gli impianti. Una decisione presa dopo la verifica di un tasso di rottura doppio rispetto alla media, e soprattutto dopo aver registrato la morte di una donna per una rara forma di cancro, il nono caso del genere. Le protesi sotto accusa, si scopre, sono realizzate con silicone di scarsa qualità (acquistato dalla ditta produttrice a costi 10 volte inferiori a quelli di mercato) con additivi chimici, baysilone, silopren e rhodorsil, resine utilizzati per produzioni di carburanti, gomma, computer e anche alimenti, ma mai sperimentati, né tanto meno approvati per uso clinico. In caso di rottura, si teme, queste sostanze potrebbero provocare infiammazioni e tumori. Tutto il mondo corre ai ripari. Dal Brasile (dove 25mila donne hanno subito gli impianti) alla Bolivia, dalla Gran Bretagna all’Equador scattano divieti e controlli su chi le aveva già impiantate. Jean-Claude Mas, il 72enne fondatore della Pip viene ricercato in Costa Rica dall’Interpol.
Oggi, secondo la Corte le danneggiate dovranno ricevere 1300 euro a testa per i danni non patrimoniali e l’ansia: si tratta di una vittoria seppur di entità minore rispetto a quello richiesto dalle vittime. Queste, infatti, avevano quantificato il danno subito in 16mila euro.