L’ospedale di Nola, la sanità pubblica e il giuramento di Ippocrate

Come sempre il Meridione riesce a unire più aspetti spesso contrastanti tra loro e nel contempo con la stessa facilità riesce a dividere le persone in maniera manicheista. Le prime immagini che abbiamo visto di ciò che è accaduto al’Epifania all’ospedale di Nola con i degenti curati a terra come in un ospedale militare in zona di guerra hanno sembrato dare il solito quadro della malasanità che è spesso associata a certe aree geografiche.
Qualcuno si è meravigliato, ma numerosi altri hanno chinato di nuovo la testa come rassegnati a queste situazioni. Se però riflettiamo in modo assennato che gli operatori sanitari giurano secondo Ippocrate di perseguire la difesa della vita, di tutelare la salute fisica e psichica, di sollevare dalla sofferenza e soprattutto di prestare assistenza d’urgenza a chi ne ha bisogno, allora quelle stesse immagini possono essere lette e interpretate in maniera del tutto differente.
Il pensiero da comune si trasforma in un “pensiero laterale”, ovvero come si deve affrontare una emergenza in modo funzionale e non convenzionale.

Operare in condizioni difficili, con reparti non ancora autorizzati ad accogliere degenti, con personale e fondi ridotti all’osso fa scegliere tra un comportamento di attesa e di rassegnazione che avrebbe richiesto il trasferimento dei pazienti in altri ospedali oppure, anche a costo di essere censurati, di assumersi delle responsabilità prima civili e poi professionali nei confronti di chi è in difficoltà.

Non è certo giurare sulle parole di un medico greco nato oltre 500 anni prima di Cristo a fare la differenza, ma la voglia di non essere indifferenti e soprattutto di aiutare il prossimo anche consapevoli di potere essere criticati.
Un paese come il nostro più che di eroi, santi e navigatori ha bisogno di persone che si assumano delle responsabilità in prima persona.