Che prosciutto mangeremo? Probabilmente un prosciutto di qualità sempre più scarsa, un prodotto gonfiato e aromatizzato “a norma di legge”. A consentire, infatti, dei cambiamenti nella produzione di prosciutto che non promettono nulla di buono per il consumatore è il cosiddetto “decreto salumi” che recepisce le norme comunitarie relative alla produzione e vendita di alcuni prodotti di salumeria.
In pratica, le nuove regole entrate in vigore consentono innanzitutto di aumentare di un punto percentuale i tassi di umidità nel prosciutto cotto, cotto scelto e cotto di alta qualità (il che significa che pagheremo caro un prodotto gonfiato con acqua).
Inoltre, facendo cadere la distinzione tra aromi artificiali e naturali identici, il decreto apre la strada all’utilizzo di aromi chimici, finora vietati, che certamente andranno a correggere il sapore di prosciutti di qualità scadente.
Infine, la scadenza del prodotto sarà decisa direttamente dal produttore, mentre finora il termine minimo di conservazione era per tutti di 60 giorni dal confezionamento del prosciutto.
Così facendo, secondo Coldiretti, c’è il rischio di penalizzare non solo i consumatori che porteranno in tavola prodotti di qualità discutibile, ma anche gli allevatori italiani che pur offrendo carni migliori si troveranno a fronteggiare l’invasione e la concorrenza di allevatori europei che si presenteranno sul mercato con carni meno pregiate ma “corrette” a dovere. Un’omologazione della qualità verso il basso, ha sostenuto Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, che non tutela la tradizione artigianale italiana (che vanta la produzione di ben 36 salumi che hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine Dop o Igp).
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