“Giovane, bello, aitante, laureato, ricco di famiglia. Va sempre in palestra, è la sua passione… poi suo padre lo caccia di casa e viene a stare da me. E scopro il suo mondo segreto”.
Clarissa (nome di fantasia a scopo protettivo) ci racconta la sua storia accanto a un ragazzo vittima della schiavitù del doping e così apprendiamo che nella Capitale ci sono alcune palestre che rappresentano il rifugio sicuro di chi si dopa, dove si può parlarne liberamente perché tanto lì dentro lo fanno tutti, uomini e donne.
Al loro interno si crea una rete di contatti per l’approvvigionamento delle sostanze, ma in ognuna c’è solo un pusher ufficiale che prende le ordinazioni per tutti perché solo di lui i produttori si fidano e lo avvisano, quando il pacco è pronto, di recarsi all’appuntamento a ritirarlo. “L’appuntamento a volte è al confine con la Slovenia, a volte nel Canton Ticino. Il pusher va fin lì con la propria auto, la riempie e torna. Poi avvisa con una telefonata, parlando in codice, tutti i suoi contatti che vanno a ritirare il proprio ordine, a casa sua o in palestra” ci racconta Clarissa.
LA CACCIA NOTTURNA
Per ottenere il GH e altri ormoni c’era anche un altro metodo, che utilizzava l’ex di Clarissa: ritagliava la carta per darle la forma delle ricette (bianche, non della mutua), prendeva un nome a caso di un endocrinologo e copiava la sua intestazione, poi compilava la ricetta con la prescrizione che gli serviva e apponeva la firma falsa. Dopo di che andava in una delle 5/6 farmacie che a Roma non fanno domande, durante le ore notturne. Il farmacista gli chiedeva quella ricetta per tutelarsi, perché in caso fosse stato interrogato poteva dichiarare che non si poteva rifiutare davanti a una prescrizione medica né, essendo notte, avrebbe avuto la possibilità di fare un controllo. In alcuni casi non c’era nemmeno bisogno di quella ricetta, perché chi faceva il turno di notte non faceva domande: “Io accompagnavo il mio compagno con la macchina, lui scendeva e dallo sportelletto chiedeva a quel ragazzo di dargli questo o quel medicinale, e lui eseguiva senza chiedere nulla e si prendeva i soldi. C’era la fila di body builder, lì davanti, la notte”.
DOVE CERCARE
Ovviamente poi c’erano le ordinazioni tramite internet. I siti sono lì, li abbiamo visti anche noi. “Garantiscono l’anonimato – continua Clarissa – tanto è vero che molti body builder si facevano spedire il pacco al fermo posta, uno aveva preso la casella alle poste romane di Piazza San Silvestro a nome della madre”. Erano coscienti che in realtà quegli integratori contenevano sostanze dopanti non dichiarate in etichetta e sapevano di dover stare attenti. “Inoltre, c’era la possibilità di ordinare sostanze anche dai siti giapponesi, sfruttando il fatto che avevano caratteri incomprensibili e nessuno poteva capire di che si trattasse, ma loro si erano passati l’informazione e sapevano esattamente cosa ordinare”.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Tutta la rete poi si faceva prescrivere le “diete” da un famoso medico sportivo che li controllava ogni due mesi, nella sua città, prendendosi 150 euro per la visita ma facendoli tornare a Roma con borse piene di sostanze che passava sottobanco dietro ulteriore pagamento.
LA VITA SCANDITA DALL’ATTESA
“La nostra vita era scandita dai momenti in cui andavano fatte le assunzioni di questi prodotti, dei cui effetti sul suo corpo lui era entusiasta. Era irritabile e aggressivo, minaccioso. Dovevo aiutarlo a procurarsi questa roba facendo ordinazioni per lui via internet o accompagnandolo a ritirarle guidando io per paura che la polizia lo fermasse per strada e si insospettisse per la sua mole. In casa mia c’erano sempre il frigorifero e le borse piene di queste schifezze”.
“Ogni tanto – conclude Clarissa – bisognava correre al pronto soccorso per qualche effetto collaterale e il rischio di setticemia. Ma di smettere non se ne parlava. Alla fine l’ho cacciato, anche io, di casa”.