Il miele contiene più residui di antibiotici delle carni suine e bovine. La notizia inattesa e per molti versi sconcertante arriva dal report dell’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare, sui residui di prodotti medicinali veterinari sugli animali e nei prodotti di origine animale. I campioni non conformi analizzate nel 2014 sono risultati lo 0,16% nella carne di suino, 0,22% in quella bovina, lo 0,26% nelle carni ovine e ben lo 0,72% nel miele.
I livelli della contaminazione
I campioni analizzati nei 28 Stati membri sono stati 4.294 sottoposte alla verifica di diverse sostanze mediciali. Nello specifico 1.815 sono stati sottoposti all’analisi degli antibatterici: 13 sono risultati positivi, ovvero in questi mieli sono stati rinvenuti residui superiori ai limiti di legge. Dati che potrebbero tranquillizzare: nient’affatto visto che le percentuali sulla carne di suino e bovino – da sempre sotto accusa per l’utilizzo di antibiotici negli allevamenti – sono risultati molto più puliti.
L’origine dei campioni analizzati vede in testa la Spagna (30.310 tonnellate annue di produzione) con 686 prodotti testati, seguita dall’Ungheria 274 campioni (25.513 tonnellate annue) e dall’Italia con 328 mieli analizzati (23mila tonnellate annue).
A seguire Germania (183 campioni – 16.669 tonnellate) e Grecia (252 prodotti – 16mila tonnellate). C’è da aggiungere che il numero dei campioni e il tipo di analisi effettuato dagli Stati membri sul prodotto di importazione extra Ue è stato ritenuto non statisticamente confrontabile con i dati rilevati dal monitoraggio previsto dalle direttive comunitarie. Della serie: non conosciamo il livello di contaminazione da antibiotici delmiele d’importazione (area balcanica e Cina in particoalre).
I veterinari: “Nuovo veicolo di antibiotico-resistenza”
Tuttavia stando ai risultati del monitoraggio Efsa non c’è da stare tranquilli. Tanto che i veterinari hanno lanciato l’allarme sui dati dell’Efsa. Il presidente della Fnovi, la Federazione nazionale ordini veterinari italiani, Gaetano Penocchio ha così motivato le preoccupazioni del mondo medico: “La possibilità di utilizzare antimicrobici in apicoltura prospetta un quadro rovinoso. Le api, infatti, potrebbero diventare vettori di antibiotico-resistenza, senza alcuna possibilità di controllo e quindi di difesa dalla contaminazione per le colture e per l’ambiente. Non ha alcun senso intraprendere campagne europee e nazionali contro l’utilizzo di antimicrobici in medicina umana e in veterinaria e poi non porsi criticamente nei confronti dell’impatto ambientale che si produrrebbe a trattare animali che abitano 14 milioni di alveari e volano ovunque sul territorio e sui campi”.