Rinviato a mercoledì il voto in Commissione sulla controversa norma che vuole “azzerare” la scadenza dell’olio. La commissione Politiche della Unione europea, dopo le proteste di parte del mondo oleicolo e di alcuni settori della maggioranza sensibili alla tutela dei consumatori, ha accantonato la discussione sul comma dell’articolo 1 della legge europea 2015 che prevede la possibilità di imbottigliare un extravergine con una scadenza superiore a 18 mesi. La commissione si esprimerà il 6 aprile e, nonostante le difficoltà politiche, non sono escluse aperture per tutelare l’extravergine. La decisione presa sancisce il secondo rinvio e non è escluso che alla fine il governo potrebbe fare retromarcia e sostenere a Bruxelles una norma, sì più rigida rispetto alla legislazione comunitaria, ma sicuramente più favorevole alla tutela della qualità dell’olio.
Oggi fino a 18 mesi, domani?
Un olio d’oliva extravergine oggi si può vendere ed è considerato ancora buono se ha un’età massima di 18 mesi dall’imbottigliamento. Il motivo? Ce lo rivela l’articolo 7 della legge 9/2013 la cosiddetta “Salva olio” promossa dall’onorevole Colomba Mongiello (Pd): “Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento”. Insomma fino a 18 mesi un olio resta extravergine dopodichè perde le sue “proprietà specifiche” e magari, ad esempio, si inrancidisce. Eppure per la Ue la legge italiana è troppo rigida, in contrasto con la normativa comunitaria, tanto che Bruxelles ci impone togliere quel limite – “fino a 18 mesi” – pena l’apertura di una procedura di infrazione. E l’Italia? Si adegua senza fiatare. Tanto che in Senato è in discussione il disegno di legge europeo 2015 che prevede la cancellazione sostanziale del termine minimo di conservazione per l’extravergine.
Mongiello: “Non pieghiamoci ai burocrati”
Il voto in Senato era previsto per la settimana prima di Pasqua poi è slittato a oggi, 31 marzo, per poi essere ancora posticipato a mercoledì 6 aprile: si sta cercando in extremis di stralciare la previsione, ma la strada è tutta in salita. Ha spiegato al Test-Salvagente la scorsa settimana l’onorevole Mongiello: “La salubrità del cibo è la prima preoccupazione dei consumatori italiani; gli olivicoltori italiani hanno diritto a competere sul terreno della qualità e non delle quantità di prodotto indifferenziato. L’Italia deve affermare in Europa i principi e le norme della legge ‘Salva olio’ oggi nuovamente messi in discussione. L’Italia non deve piegarsi alla volontà dei burocrati europei o a quella dei partner che traggono vantaggio dall’italian sounding e dalla concorrenza al ribasso”.
La Ue: “Sì può allungare la ‘scadenza'”
Nella relazione alla legge europea 2015 alla lettera b si legge: “Si interviene modificando l’articolo 7 della legge n. 9 del 2013 relativamente alla previsione di un termine minimo di conservazione degli oli di oliva. In particolare, la Commissione europea non ha ritenuto conforme alla normativa europea l’indicazione normativa di un termine non superiore a diciotto mesi, ritenendo l’indicazione della durata da rimettere alla scelta dei singoli produttori sotto la propria responsabilità. Pertanto la norma, nel ribadire comunque l’obbligo di inserire in etichetta la previsione di un termine minimo di conservazione, lascia la sua individuazione effettiva alla responsabilità dei produttori”.
Dopo un anno e mezzo, cosa resta di extravergine?
In sostanza i produttori potranno tranquillamente imbottigliare un extravergine con una scadenza superiore ai 18 mesi. E se poi, magari all’esame del panel test, quell’olio avrà perso non solo le sue proprietà ma risulti essere difettato? “Difficilmente – scrive Teatronaturale.it, un sito di riferimento nel settore oleolicolo – oltre i 18 mesi dall’imbottigliamento l’extravergine potrà mantenere caratteristiche proprie della categoria commerciale“.
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Su un altro punto, sempre secondo i desiderata di Bruxelles, la normativa 9/2013 è in contrasto con la legislazione europea ovvero quando prescrive di dare evidenza, “con diversa e più evidente rilevanza cromatica“, all’origine del prodotto in etichetta. Anche in questo caso l’Italia deve adeguarsi. Una richiesta francamente del tutto infondata se pensiamo che la – supposta – rigidità italiana non fa altro che venire in soccorso del consumatore che legge le etichette sulla bottiglia. Ma si sa…ce lo chiede l’Europa…