Scandalo Fap, dopo 10 anni indagato il Ministero

Rifiuto e omissione d’ufficio e inquinamento ambientale: di questi reati potrebbero essere chiamati a rispondere i vertici del ministero dei Trasporti secondo l’indagine del gip di Roma, Paola Di Nicola, relativa ai Fap, i filtri antiparticolato che dovrebbero rendere “puliti” i motori diesel che circolano nelle nostre città.

“Dovrebbero”, il condizionale è d’obbligo, perché in realtà sono in molti ad aver avanzato dubbi nel corso degli anni sulla reale efficacia di questo sistema antinquinamento che, al contrario, produrrebbe più danni che benefici.

Ora il gip romano, come riportato dal Fatto Quotidiano, accusa tre alti dirigenti ministeriali, tra cui il capo della Motorizzazione, di aver taciuto e di non aver fatto nulla pur essendo da tempo a conoscenza dei rischi ambientali e per la salute umana dei Fap. Pericoli che, invece, il Salvagente aveva già portato all’attenzione dei suoi lettori negli anni scorsi.

 

Dieci anni fa la denuncia del Salvagente

Già nel 2006, e a seguire nel 2008, due interviste a Stefano Montanari, direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics di Modena, che da anni indaga sulle patologie provocate dalle nanoparticelle, avevano portato alla ribalta i lati oscuri dei filtri antiparticolato.

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

È proprio il metodo di funzionamento di questi dispositivi, che li renderebbe “ecologici”, a sollevare perplessità. Infatti i filtri che intrappolano il particolato, dopo un certo numero di chilometri, avviano la combustione della materia intrappolata: “A una temperatura di circa 550 gradi – spiegava Montanari – sminuzzano il Pm10 in particelle infinitamente più piccole, di dimensioni nanometriche, che attraversano le maglie nel filtro e vengono liberate nell’atmosfera. Dunque i filtri intrappolano il particolato, ma liberano polveri ultrafini, che sono in grado di rimanere sospese nell’aria per decenni”.

“È provato – aggiungeva il ricercatore – che più le polveri sono piccole più sono nocive perché aggrediscono l’organismo in profondità essendo in grado di penetrare fino nel nucleo delle cellule (sono in grado di oltrepassare i tessuti dell’organismo e arrivare in poco più di 60 minuti a depositarsi nel fegato). E i danni per l’ambiente non sono da meno. Innanzitutto le auto dotate di filtro consumano di più e quindi ciò significa più carburante, più gas e più polveri di scarico. Inoltre il Fap immette nell’aria un ulteriore inquinante, il cerio, le cui particelle abbiamo già trovato nell’ambiente cittadino. Bisogna poi considerare che alla fine della sua vita, intorno ai 200mila chilometri, questo dispositivo sarà un rifiuto molto critico da smaltire”.

Infine, c’è il problema delle centraline che misurano solo la concentrazione nell’aria del Pm10. “Per un problema di costi”, spiegava al Salvagente il professore. “Una centralina che riesca a misurare polveri molto più piccole richiederebbe una spesa enorme e quindi, ferme restando le risorse disponibili, potrebbero essere monitorate solo piccolissime porzione di territorio”.

 

Dietro al successo del Fap, gli interessi dei produttori

Il Fap, insomma, non fa miracoli. Anzi. Eppure il sistema piace: ai produttori, ovviamente, e ai paesi che negli anni hanno assicurato incentivi governativi per la sua installazione sulle auto già circolanti e agevolazioni per la circolazione nei giorni di blocco. In Italia, due decreti del ministero dei Trasporti del 2008 lo hanno reso obbligatorio.
“Dietro la sponsorizzazione del Fap – commentava Montanari – ci sono solo gli interessi delle case automobilistiche che hanno investito su questo dispositivo e ci devono guadagnare”.

 

Cosa sono le polveri sottili

Le polveri sottili (Pm10), le celeberrime Pm10 in sospensione nello smog urbano che nuocciono gravemente alla salute umana, sono particelle del diametro di 10 millesimi di millimetro. Esistono anche particelle inferiori (Pm7, Pm2,5 e Pm1). La pericolosità di queste particelle è inversamente proporzionale alla loro dimensione, quanto più sono piccole tanto più riescono a penetrare nel corpo umano.

 

Le malattie provocate dalle nanoparticelle

Le polveri sottili e sottilissime sono una grave minaccia per la nostra salute. Sono responsabili, infatti, principalmente di malattie allergiche e cardiovascolari, come ictus, infarto e tromboembolia polmonare. Poi di una miriade di forme diverse di cancro a seconda dell’organo che viene colpito, malattie del sistema endocrino e neurologiche, come il morbo di Alzheimer e il Parkinson. Infine, anche le malformazioni fetali possono essere ricollegate all’elevata esposizione alle nanoparticelle.