La cannabis terapeutica è legale in Italia, eppure utilizzare farmaci a base di derivati di marijuana per lenire i dolori dovuti a malattie gravi come la Sla, il cancro o la sclerosi multipla, è ancora un percorso quasi impossibile. E questo nonostante l’entrata in vigore del decreto del 9 novembre del 2015 che armonizza l’utilizzo dei cannabinoidi a scopo di cura. Anzi, secondo alcuni malati, il decreto “Lorenzin”, dal nome del ministro della Salute che lo ha varato, ha peggiorato una situazione già di per sé ingarbugliata. Andrea Trisciuoglio, segretario dell’associazione LapianTiamo, lotta da anni per il diritto alle cannabis terapeutica. Racconta a Test-Salvagente: “Questo decreto ci blocca, per questo abbiamo deciso di impugnarlo, insieme all’avvocato dell’associazione Luca Coscioni”. Il motivo principale della protesta è che il testo rende impossibile utilizzare “gli estratti, e gli oli, e altre trasformazioni della canapa. Io penso spiega Trisciuoglio agli amici con la Sla, persone che hanno quei tubi infilati nella gola, con una tracheotomia, che possono respirare solo con ventilatori polmonari. Loro non possono prendere né vaporizzatori né possono fumare canne, ma solo l’olio, e questo decreto glielo impedisce”. Anche il nostro interlocutore è malato di sclerosi multipla e utilizza cannabinoidi a scopo terapeutico dal 2009. In effetti, l’utilizzo di oli o estratti non viene vietato in sé, ma le disposizioni e le procedure indicate per le farmacie che dovrebbero prepararli sono così onerose che in pratica quasi tutte stanno rinunciando a produrle.
PREGIUDIZI E PRECONCETTI
Il decreto Lorenzin, in cui vengono indicate le malattie per cui si può ricorrere alla cannabis terapeutica, fissato il prezzo di vendita e il modulo per la richiesta da parte dei medici, si è reso necessario per unificare tutte le normative regionali già esistenti. In Italia, infatti, sono undici: Puglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia, Umbria, e le ultime arrivate, il Piemonte e la Lombardia, che a gennaio hanno dato il via libera all’utilizzo delle cannabis terapeutica, completamente rimborsata dal servizio sanitario pubblico.
In Lombardia manca ancora una normativa vera e propria, come ricordano i Radicali che hanno raccolto e consegnato oltre 6mila firme per presentare la loro legge di iniziativa popolare: “La nostra proposta spiegano fa un passo avanti e contempla anche l’utilizzo domestico della cannabis a scopo terapeutico”, mentre nella delibera approvata al Pirellone, i farmaci a base di thc possono essere assunti solo all’interno dell’ospedale.
La cannabis terapeutica, purtroppo, sconta in Italia una serie di problemi legati ai pregiudizi su una sostanza che per decenni è stata raccontata solo come stupefacente, ma che fino a prima della sua proibizione era comunemente utilizzata in ambito industriale, tessile e alimentare, oltre che medico. Questa cultura di preconcetti, predominante anche nel mondo medico, crea difficoltà pratiche ai malati che vanno oltre la legalizzazione delle cure a base di cannabinoidi.
“Il grande problema è questo: trovare un medico dell’ospedale che ti faccia un piano terapeutico diventa impossibile”, spiega il segretario di LapianTiamo: “C’è un iter allucinante negli ospedali, e se vuoi comprare il farmaco senza la copertura del sistema sanitario pubblico (cosa possibile previa prescrizione medica in tutto il territorio italiano, ndr), devi avere il portafogli a fisarmonica”. Ad esempio, se Trisciuoglio non avesse la copertura sanitaria per il Bedrocan, il farmaco a base di cannabis importato in Italia, dovrebbe spendere circa 300 euro al giorno per curarsi. Risultato: anche in Puglia, regione all’avanguardia sul fronte dell’utilizzo della cannabis terapeutica, “ci sono tantissimi malati, ma quelli che riescono ad accedere a questi farmaci si contano sulle punta delle dita”, spiega il nostro interlocutore. Rendere l’accesso alla cannabis terapeutica veramente alla portata di tutti invece permetterebbe una condizione esistenziale più dignitosa a centinaia di migliaia di persone in Italia.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
MEGLIO LA MORFINA?
Alberto Ritieni, professore di chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli, ha organizzato un convegno sulla cannabis terapeutica in vista della presentazione di una proposta di legge per la Regione Campania. Ci spiega: “I benefici di questi farmaci riguardano direttamente le patologie come l’epilessia nei bambini che ne soffrono in una forma non curabile. Mentre persone con patologie degenerative come la Sla e la sclerosi multipla riprendono un po’ di elasticità, il controllo dei loro muscoli, almeno tale da poter badare a se stessi. Parliamo di malattie dolorose come quelle oncologiche. Con la cannabis non ti curo il tumore, faccio in modo che la tua qualità di vita migliori”. L’alternativa sono le morfine. “Una persona sotto morfina s’addormenta, perde conoscenza. Il dolore quindi non lo sente, ma ha finito di vivere. Può solo recuperare un po’ di lucidità tra una dose e l’altra. Gli oppiacei sono simili anche se un po’ meno forti. Invece i cannabinoidi dati in maniera misurata consentono di mantenere comunque la dignità di se stesso. Ci sono paesi in cui si utilizzano tranquillamente. Perché limitare questa possibilità a chi soffre?”