Gruppi d’acquisto 2.0: il fenomeno Kalulu

Trecentocinquantaquattro chilometri è in media la strada che percorre un pomodoro per atterrare sulle nostre tavole, quando si tratta di filiera tradizionale; 123 i litri di gasolio consumati e 984 g/kg di CO2 emessi. Lo stesso pomodoro ha un peso medio di 132 grammi, nel 47,7% dei casi contiene pesticidi di cui l’1,2% oltre il consentito. Niente a che vedere col tragitto di un pomodoro che arriva sul piatto direttamente dal produttore locale biologico che pesa in media 80 grammi, non contiene pesticidi, percorre in media 25 km consumando 4 litri di gasolio ed emettendo solo 16 g/kg di CO2.

Accesso diretto

Uno scarto esorbitante, inaccettabile per Emanuel Sabene, neo fondatore di Kalulu (www.kalulu.it), start up recentemente selezionata (e presente a Expo) da Feeding the accelerator, incubatore di altre 9 start up ri- tenute rivoluzionarie per il futuro della produzione, distribuzione, consumo e rappresentazione del cibo. “Quando ho avuto l’idea di creare Kalulu non ho fatto altro che trovare un modo che spero possa trasformare in realtà un sogno: permettere a tutti i cittadini del pianeta di mangiare cibo buono e sano senza distruggere l’ambiente”, spiega Sabene.

Il “modo” è una piattaforma tecnologica che ricrea sul web il “vecchio” Gas (Gruppo d’acquisto solidale) sia nell’obiettivo – cibo sano – sia nella filosofia di consumo e distribuzione etici.

Scelta dal basso

In poche parole funziona così: ci si iscrive alla piattaforma alla quale si possono invitare amici, come in un social network. Se ci si ritrova in un certo numero desiderosi di creare un gruppo di acquisto in una medesima zona di consegna si può rintracciare il produttore locale interessato. Questa segnalazione può avvenire da parte degli utenti o dei gestori del sito che stanno allargando la “proposta” di agricoltori, a partire da Roma e Milano, dove Kalulu ha preso il via. Lo staff, poi, si premura di andare a visitare le aziende agricole che entrano nel network, sebbene le segnalazioni più preziose arrivino dagli utenti stessi. “Il nostro obiettivo è superare i confini nazionali”, spiega Sabene. A oggi Kalulu non ha veri e propri competitor in Italia: “Qualcosa esiste all’estero”. Ed è anche per questo motivo che l’incubatore americano sta sostenendo l’impresa innovativa.

Marketplace biologico

Certo è che se Kalulu è la prima evoluzione tecnologica del gruppo d’acquisto solidale, non è di sicuro l’unica impresa che si sta concentrando sulla distribuzione di prodotti biologici e a km 0. I numeri del bio aumentano infatti esponenzialmente ormai dal 2005, in spiccata controtendenza rispetto al mercato convenzionale: il giro d’affari nel 2014 in Italia è di 2,1 miliardi di euro per il solo canale domestico (dato reso noto all’ultima fiera Sana 2015 che si è svolta a Bologna a settembre, fonte Ismea) e passa innanzitutto attraverso la grande distribuzione e quella specializzata; un 25% di incidenza arriva però dai canali restanti, e cioè mercatini e Gas.

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Se le differenze di “filosofia” con la grande distribuzione sono già chiare, è necessario invece capire qual è il valore aggiunto di Kalulu rispetto ai tanti marketplace del biologico che operano attraverso il web. “Da un lato ci sono i grandi home delivery come Cortilia e Zolle che acquistano prodotti dalle aziende bioconservati in celle frigorifere e trasportati agli utenti a casa; dall’altro ci sono siti ‘vetrina’ dove, a fronte di pagamenti da parte dei produttori, si offre la possibilità di una sorta di e-commerce in cui tuttavia il contadino non ha molta libertà di azione e guadagno non proporzionale al suo lavoro”, chiarisce Sabene. E aggiunge “non si risolve il problema fondamentale per noi della logistica e quindi dell’inquinamento, c’è un ‘non-detto’ su cui non possiamo concordare”.

Raccolto e mangiato subito

In sostanza, ciò che Kalulu intende fare è capillarizzare il metodo e la coscienza etica del Gas avvalendosi di una piattaforma tecnologica di semplice utilizzo. “Grazie alla selezione come start up innovativa – spiega Sabene – abbiamo partecipato a un incontro a Expo in cui fondamentalmente ci siamo chiesti come fare a nutrire 9 miliardi di persone fino al 2050 senza distruggere il pianeta: agricoltura bio e km 0 garantiscono la salvaguardia dell’ambiente riducendo di moltissimo i danni collaterali prodotti dal consumo e non lasciare tutto nelle mani della grande distribuzione può aiutare l’economia, le persone e il Pianeta: per questo non vogliamo essere unici ma speriamo che il nostro modello venga divulgato”.

Raccolto e mangiato la sera in tutto il mondo: ecco cosa vorrebbero che succedesse a ogni pomodoro nel futuro. Il prezzo lo fa l’agricoltore: Kalulu prende il 10% del venduto. “Ed è molto diverso dal 20% che oggi arriva nelle tasche del produttore quando si affida alla filiera tradizionale, dove l’80% dei costi è speso in logistica, trasporto e marketing”.