Nel 2013 la Food and Drug Administration ha pubblicato delle linee guida volontarie per vietare l’uso indiscriminato degli antibiotici negli allevamenti. Tuttavia, come ha evidenziato l’ultimo report redatto dalla stessa agenzia statunitense, fino al 2014, l’uso degli antibiotici è sensibilmente aumentato: in particolare, la vendita di questi farmaci per uso animale è aumentata del 4% nonostante in quelle linee guida la Fda avesse chiesto alle aziende produttrici dei farmaci di cambiare l’etichetta escludendo l’uso animale, impendendone così l’uso se non con la prescrizione di un veterinario. Peccato che il 97% di tutti i farmaci importanti fossero disponibili nello stesso arco di tempo senza prescrizione medica veterinaria. Inutile soffermarsi sul rischio di un’introduzione di massicce dosi di antibiotici nella catena alimentare: l’esposizione continua a dosi di tali farmaci può favorire lo sviluppo dei cosiddetti “super batteri”, ovvero di batteri resistenti agli antibiotici di cui si ammalano ogni anno circa 2 milioni di americani e ne uccidono migliaia. Perché allora gli allevatori non riescono a farne a meno? La risposta è contenuta nel fatto che agricoltori, da un lato, e aziende farmaceutiche, dall’altro, sanno da tempo che gli antibiotici possono contribuire a promuovere la crescita degli animali da allevamento, con una conseguente maggiore resa di carne.