La coalizione Stop Ttip Italia risponde punto per punto alle dichiarazioni del neoministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, che nonostante la crescente opposizione sociale al Ttip, riguardo il negoziato commerciale tra Ue e Usa, schiera l’Italia tra i sostenitori. E questo nonostante la Francia si sia detta ripetutamente contraria ad un accordo che rischia di abbassare fortemente gli standard di qualità e sicurezza alimentare dei prodotti commercializzati e dei servizi erogati in Europa. “ Per l’Italia gli Usa sono il primo mercato di esportazione dopo quelli europei,con un saldo commerciale di 21 miliardi”, ha dichiarato il ministro in un’intervista all’Espresso, che ha aggiunto “Il Ttip non solo non danneggerà gli interessi delle Pmi italiani ma aprirà nuove opportunità di guadagno”.
Import-Export, Europa sconfitta
Di tutt’altro parere Monica di Sisto, coordinatrice della campagna Stop Ttip Italia, secondo cui “le stime ufficiali del Parlamento Ue dicono altro: +118% importazioni dagli USA e +56% esportazioni UE”, dunque un saldo negativo per l’Europa. E rispetto alle piccole e medie imprese, Di Sisto spiega: “Le pmi, che sono l’88% di tutte le imprese che esportano negli Stati Uniti, si portano a casa appena il 28% del valore totale delle esportazioni europee verso gli Usa, mentre al rimanente 12% entra in tasca ben il 72%”, spiega, specificando: “La maggior parte dell’export italiano prende un’altra strada: quella del mercato europeo. Uno studio commissionato dagli stessi promotori del TTIP alla Bertelsmann Foundation, rileva che il fenomeno di “trade diversion”, cioè lo spostamento dei flussi commerciali sull’asse transatlantico, porterebbe ad un crollo di quelli intraeuropei, mettendo in competizione le imprese per la conquista del mercato USA ed esponendole sul fronte interno a una battaglia impari con i colossi americani. Non è peregrino immaginare che tentare di sopravvivere sarà necessario tagliare i costi, primo fra tutti quello del lavoro”. E secondo un recente studio richiesto dalla Commissione europea, anche i prezzi al consumo potrebbero aumentare.
Il ministro: accettare l’asiago americano
Lo stesso ministro Calenda sottolinea quelli che per lui sono i due rischi principali dell’approvazione del Trattato: L’indicazione geografica e il cosiddetto “procurement”, ovvero il sistema di appalti pubblici”. “Il sistema americano – spiega Calenda – protegge i marchi e non le indicazioni geografiche come da noi. Per capirci, oggi gli Usa sono grandi produttori di “formaggio Asiago” fatto nel Wisconsin. È improbabile che adesso smantellino le fabbriche e ne smettano la produzione”. Quindi, secondo il ministro, non ci resta che tutelare il più ampio numero di Indicazioni geografiche possibile ma soprattutto “ottenere dagli Usa il divieto di evocazione: un prodotto con un nome italiano fatto negli Usa non deve avere nulla che ricordi l’Italia sulla confezione”. Riguardo a questo tema, la campagna Stop Ttip rimanda al rapporto “Contadini europei in svendita – I rischi del Ttip per l’agricoltura europea” redatto da Friends of the Earth Europe e pubblicato in Italia in collaborazione con l’associazione Fairwatch. Secondo questo documento, che analizza diversi studi di impatto economico del Ttip , il contributo dell’agricoltura al Pil europeo potrebbe diminuire dello 0,8%, con conseguente perdita di posti di lavoro, quello statunitense aumenterebbe dell’1,9%.
Sugli appalti, gli Usa alzano le barriere
Mentre sugli appalti pubblici, il trattato potrebbe rivelarsi una vera e propria beffe per gli europei, come ammette lo stesso Calenda: “Esiste una legge protezionistica in America, la “Buy American” del 1933, che dobbiamo superare. Obbliga il governo e le istituzioni pubbliche a preferire negli acquisti prodotti Usa”. Dura la risposta di Monica Di Sisto: “Sugli appalti pubblici non c’è storia. Gli Stati Uniti hanno già detto essere una questione fuori dal tavolo negoziale”
La battaglia sul principio di precauzione
Calenda poi rassicura che “Per quanto riguarda la tutela dell’agroalimentare e dell’ambiente invece, i due principi opposti di precauzione (Ue) e della prova scientifica (Usa), rimarranno in vigore, ognuno per conto suo. Mi pare ovvio: se il Ttip facesse arrivare il pollo alla clorina o il manzo agli ormoni, quanti parlamenti lo ratificherebbero?”. Non si fidano i cinquanta comitati locali della campagna italiana contro il Ttip, secondo cui “Il fatto che nel testo TTIP si faccia esplicito riferimento al Codex (testo con standard in molti casi meno rigidi delle leggi europee, ndr) significa che ogni variazione più restrittiva potrebbe essere considerata “distorsiva del mercato” e per questo sanzionata. Nel mandato negoziale non è esplicitata la cogenza del “Principio di precauzione”.
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Il Ttip? Per il ministro è trasparentissimo
Calenda sostiene anche che la segretezza attorno ai negoziati è normale routine, e che “Non c’è nessun accordo negoziale nella storia dei trattati commerciali internazionali che abbia avuto il livello di trasparenza del Ttip”. Chissà perché allora l’Italia abbia aspettato così tanto ad aprire le “sale di lettura” per parlamentari, ultima tra i grandi paesi europei, e solo sotto pressione dell’opinione pubblica.