Il loro nome per esteso è Sostanze Perfluoro Alchiliche, ma ormai abbiamo imparato a conoscerli come Pfas. Ne esistono almeno 4.700 e hanno innumerevoli applicazioni: in virtù della loro incredibile resistenza al calore, all’abrasione e alle reazioni chimiche in generale, l’industria li usa da decenni per realizzare padelle antiaderenti, schiume antincendio, packaging e molteplici altri prodotti.
Pfas, storia di un allarme sanitario
I Pfas diventano un caso mediatico a partire dal 2013, quando le prime evidenze scientifiche segnalano possibili contaminazioni soprattutto in Veneto. Di anno in anno, di ricerca in ricerca, quello che poteva sembrare un sospetto diventa una certezza. Gli studi più recenti e accreditati sostengono che, nella “zona rossa” compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova, circa il 30% della popolazione abbia altissime concentrazioni di Pfas nel sangue. La questione in realtà nasce molto tempo prima. Per la precisione negli anni Settanta, quando la fabbrica chimica Miteni Spa (ex Rimar) di Trissino, in provincia di Vicenza, inizia a scaricare queste sostanze tossiche nell’ambiente. Il problema è che i Pfas penetrano con estrema facilità nelle falde acquifere e da lì raggiungono i campi coltivati, entrando quindi nella catena alimentare dell’ignara popolazione. E gli effetti sulla salute umana? La comunità scientifica è ancora al lavoro per accertarli e classificarli, ma già parecchi studi ricollegano l’esposizione prolungata all’insorgenza di danni al sistema immunitario, disturbi endocrini, problemi allo sviluppo cognitivo e neurocomportamentale dei bambini, alterazioni nella coagulazione del sangue con aumento del rischio cardiovascolare. Una lista che, purtroppo, continua ad allungarsi.
Cosa dice la legge sui Pfas nell’acqua potabile
La domanda a questo punto sorge spontanea soprattutto per chi vive nelle zone “incriminate”: come proteggersi dai Pfas? È sicuro bere l’acqua di rubinetto? L’interrogativo è tutt’altro che banale, visto che nemmeno le istituzioni danno risposte certe. La nostra legge (d.lgs. 31/2001, che attua la direttiva 98/83/CE) si limita a stabilire che le acque destinate al consumo umano non contengano microrganismi, parassiti o altre sostanze “in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana”. Nella pratica però stabilisce i parametri per un numero ridotto di sostanze – e i Pfas non figurano in questa lista. Non si trovano appigli nemmeno nelle linee guida dell’Unione europea o dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il motivo tutto sommato è comprensibile: stiamo parlando di migliaia di sostanze che sono tuttora oggetto di studio. Il rigore della legge mal si coniuga con le tempistiche del dibattito scientifico.
La sfida: zero Pfas nell’acqua di rubinetto
Già, ma nel frattempo cosa può fare il cittadino? La Regione Veneto, con il supporto del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità, ha stabilito in via provvisoria alcuni valori-obiettivo ritenuti accettabili, da raggiungere attraverso i processi di trattamento delle acque: 0,5 µg/L per i Pfoa, 0,03 µg/L per i Pfos e 0,5 µg/L per la somma di altri Pfas.
Si tratta senza dubbio di un punto di partenza rilevante, che sconta però due grossi limiti. Il primo: il Veneto è senza dubbio la regione più colpita ma il problema coinvolge tutt’Italia, senza eccezioni. In Europa si lavora a una proposta di modifica della direttiva europea sull’acqua potabile, ma – e qui entra in gioco il secondo limite – è già chiaro che quella nuova dovrà essere molto più stringente. Gli esperti sostengono a gran voce che il valore massimo imposto in Veneto è ancora milioni di volte troppo alto. Per renderlo accettabile, va ridotto praticamente a zero.
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Da Better Life un sistema innovativo di purificazione dell’acqua
Per fortuna le nuove tecnologie corrono in aiuto del consumatore. Basta installare il giusto impianto domestico per essere sicuri al 100% di bere acqua pura, sana e con una concentrazione di Pfas ben inferiore rispetto alle soglie consentite. Merito di Better Life, azienda tutta italiana che ha sviluppato un nuovo sistema per la purificazione domestica. “Noi nasciamo in Veneto – racconta il fondatoreManuel Pasqual– zona tristemente nota perché la contaminazione da Pfas riguarda un’area abitata da oltre 350mila persone. Per rispettare i limiti imposti dalla Regione, circa trenta Comuni finora si sono dovuti dotare di sistemi molto costosi. Per intenderci, i filtri vanno cambiati ogni quattro mesi per una spesa di circa 600mila euro annui. Ed è solo un cerotto su una ferita molto più estesa. Visto che i Pfas sono ancora impiegati da innumerevoli industrie e non sono ancora regolati da una legislazione unitaria, è lecito supporre che le concentrazioni siano eccessive in molte altre aree che ancora non conosciamo”.
Da qui l’idea di mettere a punto un nuovo dispositivo ad hoc, che prevede differenti stadi di filtrazione e supera il principale limite dei filtri a osmosi inversa, che demineralizzano quasi totalmente l’acqua. Il risultato? I livelli di Pfas risultano praticamente azzerati.
Una soluzione sicura e certificata Zero Truffe
“Proprio perché il consumatore ha già visto tradire la sua fiducia sulla sicurezza dell’acqua di rubinetto, abbiamo ritenuto opportuno far testare il nostro dispositivo da un soggetto credibile e super partes”, continua Pasqual. Questo compito è stato affidato proprio alla rivista Il Salvagente. Le accurate verifiche condotte da tecnici indipendenti hanno accertato che:
- La contrattualistica e la comunicazione di Better Life sono chiare e trasparenti.
- I dispositivi sono conformi e adeguati alle normative vigenti sulla potabilità dell’acqua.
- I campioni d’acqua che in origine erano contaminati da diverse specie di Pfas, dopo essere passati nel dispositivo filtrante, presentavano valori infinitesimali. Praticamente tendenti allo zero.
Da qui la scelta di assegnare a Better Life il prestigioso certificato Zero Truffe.