L’Agenzia spagnola per i medicinali e i prodotti sanitari (AEMPS) riferisce che attualmente non ci sono dati per confermare un aggravamento dell’infezione da COVID-19 con ibuprofene o altri farmaci antinfiammatori non steroidei, quindi non ci sono motivi per cui i pazienti che sono in trattamento cronico con questi farmaci li interrompono.
Attualmente il comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza su richiesta dell’Agenzia francese per i medicinali sta valutando il possibile aggravamento dell’infezione ma non ci sono ancora dati certi al riguardo: l’ analisi dovrebbe concludersi a maggio 2020, ma con le informazioni disponibili è complesso determinare se esiste questa associazione, poiché l’ibuprofene viene usato per trattare i sintomi iniziali delle infezioni e, quindi, la relazione causa-effetto non è è facile da configurare.
Le schede tecniche dei medicinali che contengono ibuprofene indicano già che questo medicinale può mascherare i sintomi delle infezioni, il che potrebbe ritardarne la diagnosi e causare la diagnosi in fasi più fiorite, sebbene ciò si riferisca alle infezioni in generale, non specificamente per l’infezione COVID 19.
Le linee guida raccomandano l’uso del paracetamolo per il trattamento sintomatico della febbre come prima alternativa. Per questo motivo la Francia ha deciso da oggi che, al fine di prevenire la carenza durante la pandemia, la vendita di paracetamolo sarà limitata: l’Agenzia nazionale per la sicurezza dei medicinali esorta, infatti, a “non prescrivere, né dispensare o conservare droghe inutilmente” che contengano questo analgesico. Concretamente, i farmacisti saranno in grado di dispensare senza prescrizione una singola scatola di paracetamolo (500 mg o 1 g) per paziente senza sintomi, o due scatole in caso di dolore o febbre.
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