La Corte d’Appello di Brescia ha assolto tutti gli attivisti che il 28 aprile 2012 liberarono alcuni beagle dell’allevamento Green Hill, dando il via alla più grande liberazione di animali destinati alla vivisezione mai vista. “Una sentenza importantissima – afferma Gianluca Felicetti, presidente Lav – a seguito del rinvio con cui la Corte di Cassazione aveva annullato alcuni mesi fa il provvedimento di condanna per furto dei beagle. Una pronuncia importante in una vicenda storica per i risvolti giudiziari che hanno accertato la colpevolezza dei vertici dell’allevamento con riferimento ai reati di uccisione e maltrattamento di animali. Siamo orgogliosi di aver sostenuto le spese legali di una nostra socia e di aver contributo per tutti e tre i gradi di giudizio a quelle degli altri imputati! Se oggi Green Hill è chiuso per sempre, è anche grazie alla determinazione di questi 12 ragazzi: salvare gli animali non è reato”.
Fu proprio da quell’azione, spiega in una nota l’associazione animalista, che la vicenda Green Hill ebbe la svolta culminata con la condanna dei vertici e il veterinario di Green Hill (l’allevamento di cani a Montichiari di beagle destinati alla sperimentazione sequestrato nel 2012), ritenuti colpevoli dei maltrattamenti e delle uccisioni non legali verificatesi nella struttura in tutti e tre i gradi di giudizio e nella chiusura definitiva della struttura. “Pur nel rispetto delle decisioni dell’Autorità giudiziaria – aggiunge l’Ufficio legale Lav – abbiamo fin da subito ritenuto che la condanna degli attivisti fosse in contrasto con il riconoscimento dell’animale quale soggetto, essere senziente e non res, con la conseguenza che gli attivisti coinvolti non hanno assolutamente rubato qualcosa ma piuttosto salvato vite animali da maltrattamenti e uccisioni”.
La Lav ritiene che questa nuova sentenza conferma che gli animali non possono essere trattati alla stregua di macchine o semplici oggetti tenuti dalle aziende per scopi commerciali, senza che le stesse si occupino minimamente dei loro interessi, perché sono esseri senzienti con proprie necessità e diritti degni di protezione anche giuridica. La difesa degli attivisti, infatti, ha contestato fino in fondo e con ferma convinzione che potessero essere ritenuti colpevoli coloro che hanno liberato animali allevati in una struttura in cui è stato successivamente accertato il maltrattamento e la morte dei beagle, invocando la legittima difesa dei ragazzi nell’interesse degli animali, la cui la vita non può essere considerata al pari di un bene mobile oggetto di furto.