“Caro Salvagente, quanto succo di arancia c’è nell’Aranciata Sanpellegrino? Il 100% lascia intendere il frontespizio della lattina ma poi leggo tra gli ingredienti che il vero succo d’arancia è solo il 20%. Perché questo inganno?”. La segnalazione di Antonio Reni, un nostro attento lettore, ci aiuta a far un po’ di chiarezza tra quello che sono le promesse del marketing, spesso molto poco mantenute, e la norma sull’etichettura.
Ci aiuta il nostro Dario Vista, biologo, tecnologo alimentare ed esperto di etichettatura: “L’indicazione 100% è riferita alla provenienza e non al contenuto di arance. Tutto il testo ‘100% arance italiane’ è scritto con la stessa dimensione del font, ma l’elemento grazie al quale la grafica può trarre in inganno il consumatore sta nel fatto di andare a capo dopo 100% e non prima, in questo modo la parola ‘Italiane’ va in secondo piano”.
La nuova legge porta il succo dal 12% al 20%
In base al Regolamento 1169/2011 qualora sul frontespizio sia presenta una fotografia che richiami o rappresenti un ingrediente presente nel prodotto finito, nella lista degli ingredienti deve essere indicata la sua presenza in percentuale.
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Per quanto riguarda la normativa poi nelle bevande a base di aranciata il succo minimo di legge è del 20%, innalzato dal 12% grazie all’articolo 17 della legge n. 161 del 30 ottobre 2014 entrato in vigore il 6 marzo 2018: “Le bibite analcoliche (…) prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 g per 100 cc o dell’equivalente quantita’ di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere”.
Cosi si mette in dubbio la fiducia del consumatore
Messi i paletti e compreso che sul frontespizio Sanpellegrino “giocando” col marketing indica solo l’origine del frutto e non quello che andremo a ritrovare dentro la lattina, resta un tema di fondo: cosi operando non si rischia di compromettere la fiducia del consumatore? Il professor Alberto Ritieni, ordinario di Chimica degli alimenti alla Federico II di Napoli e molto attento a tutto quello che gira attorno al cibo con la sua rubrica settimanale “Miti alimentari”, ci invita a un ragionamento: “L’etichetta rappresenta un contratto non scritto tra produttore e acquirente-consumatore nel quale sono riassunti tutti i dettagli dell’ ‘accordo’ rappresentati dagli elementi informativi che ritroviamo. Metterne in ombra alcuni enfatizzandone altri ad esempio non fa altro che mettere in crisi quel patto di fiducia che è alla base delle scelte del consumatore. Più chiarezza, assoluta trasparenza e assenza di fraintendimenti sono sempre una merce alla quale noi consumatori non rinunceremo mai. Le aziende che mantengono ciò che promettono saranno sempre premiate dai consumatori”.