L’uso di contraccettivi ormonali combinati (Chc) non aumenta il rischio di tumore al seno, anche in caso di gruppi ad alto rischio e a rischio intermedio. Ad assolverli è stata una ricerca condotta dall’università degli Studi di Modena e Reggio Emilia su un campione di 2.527 donne a rischio familiare di tumore al seno, anche portatrici della mutazione Brca, quello dell’attrice Angelina Jolie.
La pillola contiene due ormoni di sintesi (estrogeni e progestinici) sia in forma combinata che sequenziale. A dicembre dello scorso anno, uno studio danese pubblicato sul New England Journal of Medicine aveva evidenziato un rischio più alto di contrarre un tumore al seno nelle donne che assumevano contraccettivi di nuova generazione. Oggi il nuovo studio che giunge a conclusioni diverse.
Ginecologi e oncologi dell’università di Modena e Reggio Emilia hanno osservato che in tutta questa popolazione, il menarca tardivo (la prima mestruazione), dopo i 12 anni, risultava un fattore protettivo, mentre la tarda età della prima gravidanza (oltre 30 anni) erano un fattore di rischio indipendente per tumore al seno. Dall’incrocio di tutte le informazioni e di tutti i dati raccolti, valutando anche gli anni con esposizione diretta ai Chc, l’uso dei Chc non è stato associato ad un aumento del rischio di tumore al seno, anche in presenza di predisposizione genetica o familiare, e indipendentemente dalla durata d’uso del Chc e dalle dosi di estrogeni utilizzati. Anzi, alcuni contraccettivi comunemente usati erano associati a una tendenza, a volte significativa, verso un rischio diminuito di tumore al seno.