Quando dare lo smartphone ai figli? Così i “patti digitali” puntano ad aumentare i periodi di disconnessione

smartphone

Quando è il momento giusto per dare lo smartphone a un figlio? È una delle domande che i genitori si fanno più spesso, pressati dai figli che non vogliono restare indietro rispetto agli amici. Una soluzione per evitare con efficacia un approccio ai social troppo presto è stata elaborata dalla rete dei Patti digitali, che ad oggi riguarda oltre 180 esperienze in tutta Italia

Quando è il momento giusto per dare lo smartphone a un figlio? Si tratta di una domanda che ogni genitore si è fatto almeno una volta, fonte di dibattito tra amici, e di stress quando i punti di vista tra partner sono differenti e quando il figlio o la figlia cominciano a fare pressione per “non essere tagliati fuori dalla cerchia di amici che già ce l’hanno”. Una soluzione per affrontare il dilemma non in solitudine è stata elaborata dalla rete dei Patti digitali, che ad oggi riguarda oltre 180 esperienze in tutta Italia. A spiegarci di che si tratta è il professor Marco Gui, che dirige il centro studi Benessere digitale dell’Università della Bicocca di Milano e fa parte del board della Rete nazionale dei patti digitali.

Come nascono i patti digitali

“L’esperienza nasce da un gruppo di genitori che davanti scuola s’incontrano e si raccontano la pressione ad anticipare il momento della consegna dello smartphone ai figli tra la quinta elementare e la prima media. Loro capiscono però di avere delle ragioni, forse inizialmente di più di pancia, per ritardare la consegna e si rendono conto che l’unico modo per riuscirci è farlo insieme. E così iniziano a organizzare delle iniziative”. La rete dei patti inizia in due luoghi: soprattutto in Friuli, l’antesignano di tutto, e poi in Lombardia, a Vimercate. Questi due nuclei che inizialmente hanno fatto un percorso proprio indipendente tra di loro, poi si sono collegati nel 2022, con l’Università di Milano Bicocca che ha svolto il ruolo di tramite e supportato l’iniziativa sia a livello finanziario che di ricerca di sponde. I patti all’inizio riguardavano un gruppo di genitori di un territorio che spesso coincideva con quello di una scuola nella maggior parte dei casi, ma non sempre. “Dopodiché, quando le cose si sono allargate, si sono interessate anche realtà diverse, per esempio comuni e squadre sportive, però nella maggior parte dei casi resta ancora una questione di accordi tra genitori” chiarisce Gui che entra nel merito su cosa vuol dire fare un patto digitale.

I punti da rispettare

“Sul sito pattidigitali.it, ci sono una serie di punti che vengono consigliati, poi ogni gruppo li rivede. Questi punti sono: posticipare lo smartphone almeno alla fine della seconda media, organizzare con i ragazzi dei momenti di confronto educazione digitale, rispettare le norme attualmente presenti, quindi Gdpr, il divieto di usare i social media sotto i 14 anni, cambiare le abitudini degli adulti nel loro rapporto con la connessione permanente. Poi alla consegna dello smartphone bisogna fare una sorta di contratto, un accordo col proprio figlio o figlia che preveda una serie di punti” spiega il professore. Al centro di questo accordo c’è la questione del sonno, l’utilizzo notturno va evitato perché è il più dannoso, sia perché per i contenuti fruiti, sia perché toglie il sonno in quantità e qualità. Anche in altri momenti, come quando si sta a tavola, viene concordata la disconnessione.

L’esperienza di Bagno a Ripoli

Sabrina Bombassei Vittor, che parla a nome dei genitori promotori del Patto digitale Bagno a Ripoli (Fi), racconta la loro esperienza: “Come gruppo di genitori nel 2022 ci siamo attivati e abbiamo raccolto più di 200 firme per chiedere al Comune e ai due istituti del Comune di attivarsi su questo tema. All’epoca ci sembrò e mi sembra tuttora che il progetto di eccellenza è Custodi digitali che era stato creato anche dalla associazione ‘Media, Educazione e Comunità’, che è tra i fondatori di patti digitali. È un progetto che mira a sensibilizzare facendo sistema tra le famiglie, la scuola e i pediatri, quindi da subito coinvolge il mondo medico e i pediatri rendendo evidente che stiamo parlando di un problema di salute pubblica, sia fisica che mentale”. Sabrina continua: “Da allora ci siamo chiesti come si arriva alle famiglie che non pensano proprio che sia un problema. Così è nata “Connessioni in Gioco”, la prima edizione è stata nel 2023 e ora siamo alla terza (18-19 ottobre a Bagno a Ripoli) e il format è rimasto lo stesso. Un sabato pomeriggio di attività giocose per le famiglie a cellulari spenti anche per i genitori e la domenica con uno spettacolo teatrale inerente al tema”.

Il ruolo delle scuole

Una parte sempre più importante in questi patti è quella delle scuole. Il professor Gui spiega: “Ci si è resi conto che i genitori se non sono supportati dalla scuola, anche se fanno un lavoro pazzesco per un anno, in quello successivo dovrebbero ricominciare tutto da capo”. Gui spiega che la circolare voluta dal ministro dell’Istruzione Valditara, che vieta l’utilizzo di cellulari in classe, è stata salutata con grande favore dentro la rete dei Patti digitali, ma né indica alcuni limiti: “Non risolve la questione. Se tu vieti il cellulare la mattina, ma poi il pomeriggio tutti i compiti sono online, praticamente stai dicendo che i ragazzini finita scuola devono essere sempre connessi”. Per questo è nato il decalogo delle scuole, che è quello che le scuole potrebbero fare per aiutare le famiglie che fanno il patto digitale. “L’obiettivo è decidere insieme qual è la gradualità di accesso, che è la migliore, perché i nostri figli possano entrare nel mondo digitale nel modo giusto, avendo le competenze giuste al momento giusto, e anche la maturità fisiologica necessaria, quando entrano in contatto con determinate esperienze” spiega Gui, “nella secondaria di primo grado, che è poi il momento più delicato di tutti, c’è una convergenza di ragioni che ci dice che lo smartphone e i social vanno posticipati, che è preponderante. Abbiamo ragioni scientifiche che ci dicono che la preadolescenza è in assoluto il momento in cui l’uso problematico dei smartphone social è massimo, con i più alti effetti collaterali. Poi, ragioni giuridiche, come il divieto di utilizzo dei social sotto i 14 anni. Nessuno lo rispetta ma è una legge. Po c’è la circolare di Valditara e l’Agcom che dice che sotto i 18 la Sim deve essere filtrata con il parental control”.

sponsor

Il coinvolgimento dei ragazzi

Questo non esclude che il patto venga in qualche modo condiviso e discusso con i ragazzi stessi, proprio per evitare che cerchino di aggirare il divieto in ogni modo. “Infatti una delle pecche della circolare di Valditara è che è stata un po’ calata dall’alto – riflette l’esperto – Noi avremmo preferito anche come approccio dei patti digitali che le norme sociali che adesso mancano venissero costruite e maturate insieme. Se tu mi dai da un giorno all’altro una norma così, che vieta e basta, è poco efficace. E il coinvolgimento dei ragazzi delle medie è certamente utile, anzi necessario, perché noi pensiamo che durante questo ciclo scolastico la posticipazione di queste esperienze debbano essere affiancate da una sorta di patentino digitale, una preparazione a un domani quando ci sarà l’autonomia digitale completa. Nel frattempo però ci sono un sacco di attività digitali che si possono fare anche senza accedere a smartphone social. E anche i compiti a casa su internet, se sono discussi con i genitori, programmati, magari il weekend, quando i genitori possono esserci, sono un’attività sicuramente positiva”.

I dati dicono che senza social aumenta la competenza digitale critica

È probabile che tra le ragioni che portano i genitori a cedere presto ci sia la paura che il proprio figlio rimanga indietro nelle acquisizioni delle competenze digitali. “No, l’idea che se tu non stai sui social fin da piccolo rimani indietro in qualcosa, è sfatata proprio empiricamente. La competenza digitale, misurata dal Digcomp (il quadro di riferimento europeo), adesso è stata anche affrontata da Invalsi, che per la prima volta quest’anno ha fatto il test nelle seconde superiori. Se si va a vedere quei dati, la competenza digitale, che è una competenza digitale critica, non è saper scrollare i reel di TikTok, ma ha una forte correlazione col punteggio in italiano. Quindi vuol dire che per avere competenza digitale tu devi saper interpretare i testi, leggere. Se tu stai fuori dai social e ti concentri sulla scuola e sullo sport, vai meglio dopo sulla competenza digitale critica. Perché hai evitato una distrazione che non è adatta all’età che ti ha permesso di sviluppare quelle competenze critiche”.

I rischi maggiori dell’iperconnessione

Tanta attenzione per i divieti non è gratuita ma è dovuta però ai rischi maggiori di questa sovraesposizione dei bambini al mondo dei social e di internet in genere. “Sono di tre tipi – ci spiega Gui – I contenuti inappropriati in sé, che non sono una novità: già nell’era televisiva esistevano, ma allora riguardavano soltanto alcune fasce della giornata. Oggi, invece, viviamo in una condizione di connessione permanente che espone le persone a questi stimoli per tutto il giorno, e per questo richiede maggiore attenzione”.

La sovrastimolazione

Un secondo aspetto è quello della sovrastimolazione: “Al di là dei contenuti, il problema è l’esposizione continua a qualcosa che cattura l’attenzione e distrae dalle attività della vita offline. Questa sollecitazione costante dura tutto il giorno ha diverse conseguenze: la sovrabbondanza di stimoli e la difficoltà di selezionarli, la frammentazione dell’attenzione, l’abitudine alla gratificazione immediata e la perdita della capacità di rimandarla. È un fenomeno tipico dei media digitali, che contribuisce alla riduzione dei tempi di concentrazione e alla dispersione cognitiva”.

I problemi medici

C’è poi una terza dimensione, quella medica: “È ormai evidente che la sovraesposizione agli schermi può provocare danni alla vista, alla postura e al sonno, oltre che all’udito. Per questo è fondamentale promuovere una cultura dell’uso consapevole. Tuttavia, resta aperta una domanda cruciale: anche con una buona educazione digitale, è opportuno che un bambino di otto anni stia sui social? Esistono età in cui, per ragioni fisiologiche, non si è pronti a gestire strumenti di questo tipo. Numerosi studi, poi, hanno indagato il legame tra uso dei media digitali e disagio psicologico, come ansia o depressione. Il dibattito è ampio: alcuni studiosi sostengono che i media siano una causa diretta del malessere, altri che vi sia solo una correlazione. È certo, però, che le due dimensioni sono collegate: chi sta male tende a utilizzare di più i social, ma allo stesso tempo l’uso eccessivo dei social può generare ansia, stress e senso di inadeguatezza”.

Disagi psicologici: correlazione o causalità

Il meccanismo è complesso e circolare, simile a quello di altre forme di dipendenza: la fragilità psicologica può portare all’abuso, ma l’abuso accentua la fragilità. Alcuni neuroscienziati osservano che certe dinamiche legate all’uso compulsivo dei media ricordano, per struttura, i meccanismi delle dipendenze. “Diversi studi, provenienti da discipline differenti – economia, medicina, sociologia – individuano una componente causale diretta tra esposizione digitale e peggioramento del benessere. Gli economisti, ad esempio, hanno correlato la diffusione della banda larga al peggioramento della salute mentale; i medici hanno documentato gli effetti fisiologici; i sociologi hanno osservato cali nelle performance scolastiche” conclude Gui. Tutti questi elementi rafforzano l’idea che almeno una parte della correlazione tra uso intensivo dei media e disagio psicologico sia effettivamente causale.