Il report sui Pfas nelle acque e nei pesci: in Italia quasi il 10% oltre la soglia considerata sicura

pesci pfas

Il nuovo rapporto pubblicato dall’European Environmental Bureau denuncia la diffusione dei Pfas, nelle acque e nei pesci d’Europa. Nel nostro paese, ben il 9,3% dei prelievi sono risultati superiori alle nuove soglie in via di approvazione in Ue. I focolai segnalati si trovano principalmente in Trentino, Veneto ed Emilia. La mappa

Il nuovo rapporto pubblicato dall’European Environmental Bureau denuncia la diffusione dei Pfas, i cosiddetti inquinanti per sempre, nelle acque e nei pesci d’Europa. Queste sostanze, molto usate in campo industriale e difficili da degradare, contaminano fiumi, laghi e mari, accumulandosi negli ecosistemi e nella catena alimentare. Il rischio per la salute umana è rilevante: l’esposizione ai Pfas è collegata a tumori, danni al fegato e alla tiroide, problemi di fertilità e disturbi dello sviluppo.

Il rapporto

Il rapporto evidenzia che i pesci in molte acque europee contengono livelli pericolosamente elevati di Pfos, una delle sostanze Pfas più dannose, spesso superiori sia ai limiti di sicurezza attuali che a quelli proposti. Sulla base dei dati provenienti da sette paesi dell’UE (2009-2023), i risultati mostrano che la contaminazione da Pfos è diffusa e probabilmente rappresenta solo la punta dell’iceberg.

Campanello d’allarme

“Sebbene l’Ue abbia proposto standard più severi per la qualità dell’acqua in relazione ai Pfas nel 2022, questi non sono ancora stati adottati. Nel frattempo, i governi stanno spingendo per ritardare la conformità di un altro decennio o più, nonostante le crescenti prove che oltre la metà dei fiumi europei, e quasi tutte le sue acque costiere, superino già le soglie di sicurezza per i Pfos” scrive Eeb, secondo cui “Questo rapporto è un campanello d’allarme: è necessaria un’azione urgente per proteggere gli ecosistemi, la sicurezza dei prodotti ittici e la salute pubblica dalla crescente minaccia delle sostanze chimiche eterne”.

Dati raccolti in 7 paesi: solo il 30% delle acque sono pulite

L’Agenzia europea dell’ambiente stima che solo il 30% delle acque superficiali dell’Unione sia in buono stato chimico, ma questo dato non riflette l’ampiezza del problema, perché si basa su una lista ristretta e ormai superata di sostanze da monitorare. Il Pfos, bandito nel 2009 perché potenzialmente cancerogeno, continua a essere rilevato in concentrazioni elevate. L’analisi dei dati raccolti tra il 2009 e il 2023 in sette Paesi – tra cui Italia, Francia, Germania e Spagna – mostra che una parte significativa dei campioni di pesce supera i limiti di sicurezza attualmente in vigore e che tutti superano, anche di centinaia o migliaia di volte, i nuovi standard proposti dalla Commissione europea. Le zone più colpite coincidono con aree industriali, basi militari, aeroporti e discariche.

I focolai in Italia

In Italia, ad esempio, il Veneto rimane uno dei principali focolai di inquinamento, mentre situazioni simili si registrano nella Cantabria in Spagna, nella valle del Rodano in Francia, nella Renania in Germania e in alcune aree della Svezia meridionale. Alcuni siti contaminati si trovano addirittura all’interno di aree naturali protette, con gravi rischi per la biodiversità. Dei 248 prelievi effettuati nel nostro paese, ben il 9,3% sono risultati superiori alle nuove soglie in via di approvazione in Ue. I focolai segnalati si trovano principalmente in un triangolo delimitato da Bolzano (Trentino-Alto Adige), Venezia (Veneto) e Bologna (Emilia-Romagna). L’impianto industriale dell’azienda Miteni, che produce Pfas dal 1968, ha rilasciato nell’ambiente acqua non trattata, una contaminazione per la quale 11 ex dirigenti dell’azienda sono stati condannati al carcere e costretti a pagare un risarcimento economico. La zona di Bolzano è ricca di industrie elettrometallurgiche e metalmeccaniche, nonché di produttori di veicoli e tessuti. La zona di Bologna è nota per la sua agricoltura intensiva e per le industrie metalmeccaniche.

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QUI LA MAPPA INTERATTIVA DEI FOCOLAI IN ITALIA

Il problema della quantità di Pfas negli alimenti

Le persone in Europa sono già esposte a quantità eccessive di Pfas. Una valutazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), basata su analisi di campioni alimentari provenienti da 16 Stati membri dell’Ue, inclusa l’acqua potabile, ha rivelato che i livelli di esposizione negli adulti a quattro Pfas che si accumulano nell’organismo (Pfoa, Pfna, Pfhxs e Pfos; indicati insieme come Pfas-4), anche considerando stime prudenti, arrivano fino a cinque volte il massimo consumo settimanale raccomandato. Per bambini e neonati l’esposizione è ancora più elevata.

Il consumo di pesce

Il rapporto avverte che la contaminazione da Pfas mette in discussione le raccomandazioni nutrizionali che vedono nel pesce una fonte di proteine e acidi grassi essenziali. In alcune zone europee, già oggi, una sola porzione di pesce può bastare a superare la dose settimanale massima tollerabile fissata dall’Efsa. Molti paesi hanno stabilito raccomandazioni sul consumo di pesce come parte delle proprie linee guida dietetiche nazionali, basandosi sul suo contenuto di acidi grassi Omega-3, fondamentali per l’attività e lo sviluppo cerebrale e per la protezione cardiovascolare (anche se, naturalmente, sono presenti anche in molti alimenti di origine vegetale), oltre a costituire una fonte di proteine e micronutrienti. Tuttavia, l’inquinamento da Pfas mette a rischio il raggiungimento di queste raccomandazioni. Ad esempio, una persona di 70 kg che consumi 154 g di pesce (circa una porzione) a settimana contenente 2 µg/kg di Pfos, Pfoa, Pfna e Pfhxs – limite stabilito dal regolamento Ue sugli alimenti – supera le raccomandazioni dell’Efsa sull’assunzione di Pfas.

Le raccomandazioni e i rischi

Molti paesi, tra cui Francia, Italia, Polonia, Spagna e Svezia, raccomandano di consumare almeno due porzioni di pesce alla settimana (vedi Allegato 5). Purtroppo, ci sono già casi in cui le concentrazioni di Pfas limitano fortemente il consumo: Uno studio recente ha mostrato che consumare appena 16 g di pesce proveniente dalla bassa Elba alla settimana raggiungerebbe l’assunzione massima raccomandata di Pfas-4.28. La massiccia contaminazione derivante dalla fabbrica 3M ad Anversa, in Belgio, ha comportato alti livelli di Pfas nei pesci del Western Scheldt. Le autorità olandesi hanno emesso raccomandazioni per limitare il consumo di pesce e frutti di mare dell’area,29 ad esempio: la sogliola può essere consumata al massimo due volte all’anno, il branzino da una a sei volte l’anno, mentre una porzione di gamberi può essere consumata cinque-sei volte l’anno. Una valutazione sugli alimenti in Danimarca, Francia, Germania e Paesi Bassi ha rilevato che il 69% dei pesci analizzati conteneva almeno uno dei Pfas-4 indicati dall’Efsa e alcuni campioni raggiungevano fino a 35,78 µg/kg di Pfas-4.30. Alcune regioni dipendono particolarmente dal consumo di pesce e risultano quindi più vulnerabili alla contaminazione. La contaminazione rappresenta una minaccia per tutti gli individui e le comunità che dipendono dal pesce per la propria sussistenza, sia in termini di salute fisica sia economica, comprese le comunità indigene.

Eeb: estendere vincoli e monitoraggio

Secondo l’Eeb, l’unica strada percorribile è un’azione rapida e coordinata. Occorre adottare al più presto nuovi standard europei per l’acqua e per la fauna acquatica, estendere il monitoraggio a un gruppo più ampio di 24 sostanze, rendere pubblici i dati ogni anno e inserire misure vincolanti nei piani di gestione dei bacini idrografici dal 2028 al 2033. Inoltre, il principio “chi inquina paga” dovrebbe garantire che siano le aziende responsabili a sostenere i costi di bonifica e non i cittadini. Il rapporto conclude che senza interventi immediati l’Europa rischia di perdere un altro decennio nella lotta contro l’inquinamento chimico, con effetti gravi e duraturi sulla salute delle persone, sulla biodiversità e sull’economia legata alla pesca.