Il matcha, vittima di un successo planetario

MATCHA

Molto social grazie al suo verde brillante, e con un’innegabile aura salutistica, da qualche anno questo tè è partito alla conquista del mondo. Missione riuscita, ma a quale prezzo? Un percorso che suscita più di una riflessione

Dal fascinoso matcha latte – animale o vegetale, montato e mischiato con matcha – ai gelati e alle torte dai colori accesi fino alle bevande fredde, il tè verde giapponese da cerimonia spopola nel mondo occidentale. Il fascino del Sol Levante è tra i motivi di tanto entusiasmo, ma ancora di più la capacità di questa polvere verde di favorire il benessere – ambito target dell’era post-covid. Ad amplificarne il fenomeno ci hanno pensato social come TikTok, dove l’hashtag è arrivato a totalizzare 15 miliardi di view, e Instagram. Non a caso, British Vogue parla di “Gen Z green juice”. Nei video si preparano matcha latte o torte e si esaltano le proprietà estetiche della magica polvere verde, che tinge perfino le unghie. “Il consumo è molto legato ai social, con impacchi viso e altre preparazioni”, conferma Francesco Meschini del Negozio del tè di Perugia. “Servirebbe invece una cultura intorno al matcha, quello storico, di antica origine”. Ma intanto in Occidente è matcha-mania, come testimoniano le vendite.

Sul Salvagente in edicola il servizio integrale sul matcha con il confronto su 8 prodotti popolari

Domanda crescente

Il recente report della società di ricerca Mordore Intelligence valuta le dimensioni del mercato per il 2025 a 2,46 miliardi di euro, destinati a diventare più di 3 nel 2030. Assorbe la maggior parte del prodotto il continente americano, mentre per la Ue i consumi, trainati dalla Francia, si assestano su livelli medi. “Invece Giappone e Corea, che lo valorizzano, non hanno aumentato i consumi”, osserva Meschini.

L’Italia si accoda: secondo l’analisi dell’Osservatorio Immagine sulle tendenze del 2025, il tè matcha fa parte dei 12 prodotti per i quali c’è stato un aumento delle vendite per valore (+11,4%) e per volume (+0,7%). Nelle città, si può così sorseggiare matcha latte nei bar, comprare bevande al supermercato o creme e scrub in erboristeria.
Difficile credere che il Giappone, il principale produttore (seguito da Cina e Taiwan) non voglia soddisfare questa redditizia domanda. Lo dimostrano le 4.176 tonnellate prodotte nel 2023, il triplo del 2010 (dati del ministero giapponese dell’Agricoltura). Ma la sete globale di matcha non sembra placarsi, e già dall’autunno scorso si vociferava di una sua possibile carenza. Che ne sarà dei prezzi?

“Attualmente si assiste a un aumento sistematico dei prezzi di tutte le tipologie di tè per i costi di trasporto, ma non si osservano rincari particolari per il matcha”. Tuttavia, sulla spinta dei rilanci, l’asta di giugno ha visto dei forti rincari (secondo Sazen Tea Co. Ltd, azienda con base a Kyoto, si attendono aumenti almeno del doppio per i nuovi stock) per un prodotto già costoso a causa della produzione artigianale lunga e complessa, su cui influiscono fattori come i capricci del clima e, non ultimo, la carenza di manodopera indotta dalla crisi demografica, al punto che nelle piantagioni ci lavorano spesso anziani. Anche se per quanto riguarda il Giappone non sembrano esserci ombre sulle condizioni lavorative, i ritmi lavorativi sono piuttosto sostenuti per far fronte alla sete occidentale di matcha: il Japan Times parla di turni anche nel weekend.

Un procedimento complesso

Il matcha è arrivato in Giappone nel XII secolo con i monaci buddisti che l’avevano scoperto in Cina, dov’era coltivato fin dal VII-X secolo, durante la dinastia Tang. Ma come spesso accade, furono i giapponesi a perfezionare l’idea originaria. Così, come Roma non fu costruita in un solo giorno, anche il matcha richiede tempo e pazienza per raggiungere le vette che lo caratterizzano.
Intanto, ci vogliono i terreni e le condizioni climatiche giuste, che in Giappone si trovano in primis nell’area di Uji, nella prefettura di Kyoto, e poi in altre aree delle prefetture di Kagoshima, Aichi e Shizuoka. Il primo step consiste nella coltivazione del tencha, materiale di partenza da cui nascerà poi il “tè macinato” – il matcha appunto. I risultati migliori si ottengono su piccoli appezzamenti, perché le piante devono essere accudite con estrema cura. Si parte da cultivar che richiedono 5 anni per la maturazione e hanno foglioline molto tenere. Uno-due mesi prima della raccolta, che avviene in primavera e una sola volta per il tè da cerimonia, si procede all’ombreggiatura per ridurre la fotosintesi e aumentare il contenuto di clorofilla, molecola antiossidante e disintossicante, e di L-teanina, amminoacido dalle proprietà calmanti, che fa da contrappeso all’alto tenore di caffeina, quasi ai livelli del caffè espresso. Nei raccolti successivi, destinati a matcha di grado più basso (ma sempre di qualità) o ad altri tipi di tè, aumentano le catechine, preziosi antiossidanti che danno però un gusto amarognolo.
Le foglioline vengono sottoposte a una rapida cottura a vapore, che ne preserva colore e nutrienti, quindi essiccate e private di piccioli e nervature. “Gli scarti non vengono gettati ma recuperati per preparare il kukicha, un tè tostato, o per tagli filtro”, spiega Meschini. Tocca poi alla lentissima macinazione a pietra: ci vuole un’ora per ottenere 40 g di polvere.
È facile capire che accelerando le tempistiche e riducendo gli scarti il tè è pronto prima e in maggiori quantità, costa meno e scende di qualità rispetto al vero matcha. Ma sarebbe il meno: l’importante è che le coltivazioni non diventino industriali e non impattino sull’ambiente. Considerando che del matcha si consumano anche le foglie, la scelta bio è preferibile: uno studio pubblicato nel 2024 su Food Chemistry ha individuato piombo, cadmio e arsenico oltre i limiti imposti dalla Fda nel 12% dei campioni di matcha di qualità inferiore.

sponsor