Sconto del 10% e promozioni al ribasso: così la Gdo affama i produttori di ortofrutta

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I produttori di ortofrutta in Italia attraversano una drammatica crisi per la pressione della Gdo che pretende il ristorno, uno sconto del 10% per “spese per il marketing” e impone promozioni a basso costo sulle loro spalle con la minaccia di rivolgersi all’estero, come racconta un’inchiesta su Internazionale

I produttori di ortofrutta in Italia attraversano una drammatica crisi per la pressione della Gdo che pretende il ristorno, uno sconto del 10% per “spese per il marketing” e impone promozioni a basso costo sulle loro spalle con la minaccia di rivolgersi all’estero, come racconta un’inchiesta di Stefano Liberti su Internazionale.

Il ristorno, lo sconto mascherato del 10%

Un direttore operativo di un gruppo che produce e commercializza ortofrutta, che vuole restare anonimo per paura di ripercussioni, mentre parla con il giornalista apre un cassetto e ne estrae un grosso faldone, pieno di carte e contratti. “Qui dentro c’è l’accordo quadro che abbiamo firmato con una grande catena della distribuzione”, Si ferma su una riga evidenziata in giallo: “Vedi? Sconto in fattura del 10 per cento. È nero su bianco”. Quella cifra è il ristorno: una quota del fatturato che i fornitori agricoli devono restituire alla fine di ogni anno alle insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo). Ufficialmente viene giustificato come contributo per volantini, pubblicità, supporto alla logistica o all’apertura di nuovi punti vendita. Ma, scrive Liberti, per chi lavora nel settore, il significato è un altro, molto più crudo : “Quel dieci per cento è il tributo da pagare per lavorare con loro. Per avere spazio sugli scaffali. Se non lo accetti, resti fuori”. In media si tratta del 10 per cento, ma ci sono catene che chiedono anche il 12, il 13, fino al 14 per cento. Dipende dalla forza negoziale del produttore. Che spesso viene schiacciata dalla grande distribuzione organizzata.

Le promozioni “forzate”

Che impone spesso anche un’altra condizione pesante ai produttori. Le promozioni “forzate”. Nel settore dell’ortofrutta la Gdo pianifica promozioni anche con due mesi di anticipo, quando ancora non si sa se ci sarà la merce. Non si lanciano per smaltire produzione in eccesso, come sarebbe logico, ma per attirare clienti con prezzi bassi. E a pagare. “Se l’insegna decide che le albicocche devono andare in offerta a 1,29 al chilo, allora tu devi adeguarti. E spesso ti trovi a vendere sotto costo. Nessuno ti chiede se puoi permettertelo o ci rimetti. Ti chiedono solo se puoi consegnare il prodotto. E la risposta deve essere sì”, spiega un produttore a Liberti. E per spingere i produttori ad accettare qualsiasi condizione, spesso la Gdo usa il grimaldello dell’estero: spesso è un lotto di produzione spagnola che costa meno e che è pronto a prendere il posto di quella del fornitore italiano recalcitrante ad accettare condizioni peggiorative. Alla fine su una pesca che al supermercato costa 2 euro al chilo, al produttore rimangono in tasca 30 centesimi.

La direttiva e i modi per raggirarla

In certi casi la legge non è sufficiente. Nel 2019 l’Unione europea ha varato una direttiva contro le pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare, introducendo due liste: una nera, che vieta in modo assoluto determinati comportamenti, e una grigia, che ne consente alcuni solo se formalizzati per iscritto. Tra le pratiche sempre vietate ci sono la cancellazione all’ultimo minuto di ordini di prodotti deperibili o la modifica unilaterale dei contratti. Ma molte delle richieste più comuni della Gdo – spiega Internazionale – “rientrano nella lista grigia: sono legali se formalizzate, ed è proprio lì che il meccanismo continua a funzionare come prima”. Nel 2021, l’Italia ha vietato le aste elettroniche al doppio ribasso, la vendita sottocosto e ha affidato all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), un organismo del ministero dell’agricoltura, la vigilanza sul rispetto delle norme, con la possibilità di ricevere denunce anonime. Ma spesso i produttori rinunciano a utilizzare questo strumento per paura di esser tagliati fuori dal giro della fornitura alla Gdo, che per loro significherebbe la morte commerciale.

Le aziende chiudono

Intanto, però, i numeri raccontano già di tante aziende che chiudono perché non riescono più a far quadrare i conti. Secondo un’indagine condotta tra gli imprenditori agricoli dalla Agri 2000 net, società di servizi all’agricoltura, 30mila aziende agricole sarebbero a rischio chiusura solo in Emilia-Romagna. La maggioranza degli intervistati ha risposto che il motivo per cui non sanno se proseguire l’attività è proprio che l’azienda rende troppo poco. In Emilia-Romagna – spiega il responsabile di un centro ortofrutticolo, riferendosi alla produzione di pesche nettarine tra il 2006 e il 2024 – abbiamo perso il 70 per cento delle superfici coltivate e il 69 per cento delle quantità prodotte. In Veneto va anche peggio: 73 per cento in meno di superfici, 69 per cento in meno di prodotto”.

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