
Qualcuno, facendo la spesa, avrà notato un logo con tre spighe e la dicitura “Firmato dagli agricoltori italiani”. Il bollino voluto da Coldiretti che già campeggia su diversi prodotti, come quelli a marchio Bennet, Carrefour e Lidl e di marchi come Coricelli e Rigamonti vorrebbe assicurare trasparenza. Ma…
Da qualche tempo, sull’onda popolare (e decisamente redditizia) del made in Italy ha fatto la sua comparsa il marchio “Firmato dagli agricoltori italiani” (Fdai) di Coldiretti, promosso da Filiera agricola italiana. In molti scaffali dei supermercati è comparso, tra l’altro, su confezioni di pasta a marchio associando il sigillo “Fdai – Firmato dagli agricoltori italiani” al contributo alla preservazione delle api e della biodiversità. Uno stretto legame tra questi preziosissimi insetti, cibo e ambiente.
Ma cosa vuol dire “Firmato dagli agricoltori italiani”? Guardando il sito della Coldiretti si legge ‘’il progetto Fdai – Firmato dagli agricoltori assicura trasparenza: su tutti i processi nodali decisionali nell’ambito della filiera”. E poi: “Una filiera di produzione sostenibile che riconosce il valore del lavoro agricolo, attraverso un sistema che promuove un’adeguata remunerazione, la trasparenza e la certezza della filiera produttiva, il rispetto della terra, degli animali e dell’ambiente”. Vale la pena porsi qualche domanda: chi sono questi agricoltori? Qual è il valore aggiunto del bollino in termini di giusto prezzo? E cosa c’entrano le api? E sul versante trasparenza molti dei dubbi restano irrisolti, dato che se l’obiettivo è quello di spiegare ai consumatori una più equa ripartizione del valore lungo tutta la filiera produttiva, sarebbe stato utile dare indicazioni chiare e verificabili sul prezzo giusto pagato ai produttori di grano duro italiano. Cosa che non abbiamo trovato da nessuna parte nella ricca e graficamente accattivante presentazione del progetto di Coldiretti.
Si fa presto a dire ‘’amici delle Api’’
Questa causa (nei suoi propositi più che nobile, senza dubbio) può essere del tutto inutile su terreni agricoli dove si continuano ad utilizzare pesticidi che rappresentano una minaccia per le api selvatiche. E, parlando di agricoltura convenzionale, la sostenibilità appare assai dubbia. Tanto più che non abbiamo trovato alcuna traccia, per esempio, dell’esclusione di neonicotinoidi, ossia di sostanze provatamente dannose per le api. Come l’acetamiprid, tanto per fare un esempio, un pesticida che fa parte anche della lista di quelli accettati dal bollino Snqpi del ministero delle Politiche agricole. È sbagliato poi, pensare di salvare le api selvatiche semplicemente piantando dei semi di piante non autoctone come la Facelia, che per le loro elevate capacità competitive, compromettono gli ecosistemi originari. Quando si scelgono le piante, è importante puntare sulla più grande varietà possibile di fiori selvatici autoctoni.
Una coccarda sbiadita
Si continua quindi a parlare di sostenibilità ambientale, di instabilità del prezzo del grano duro italiano, di superfici coltivate in calo (-7% di media per il grano duro), dell’invasione di prodotto estero che inonda il mercato proprio nel periodo di raccolta, di prezzo basso, di contatti di filiera per garantire agli agricoltori un prezzo sicuro, ma senza mai dare indicazioni chiare e verificabili sul prezzo giusto pagato ai produttori di grano duro italiano, e di tutela della biodiversità continuando a praticare un’agricoltura intensiva, in modo non sostenibile, che causa numerosi danni ambientali e sociali. Non è un bollino, peraltro così vago, che può fare la differenza. La sostenibilità, l’equità non possono diventare solo un elemento di tendenza nella comunicazione, una coccarda di cui fregiarsi nei report rivolti al pubblico.
Il giusto prezzo
Il problema vero è che gli agricoltori non guadagnano. Lavorano in perdita. Per loro produrre grano duro nel rispetto dell’ambiente, delle tutele dei lavoratori e della nostra salute, costa più del prezzo minimo cui possono venderlo. E su quei beni guadagnano altri, attraverso i mille passaggi che avvengono tra i campi dove si producono e la tavola dove si consumano. Passaggi completamente slegati dai costi di produzione. Quanto costa garantire il giusto prezzo per i produttori di grano duro italiano?
Spesso tra il minimo e il massimo delle quotazioni la differenza la fanno pochi centesimi, che per un’azienda agricola significano guadagno o perdita, vita o morte. A rischiare di soccombere è la nostra cerealicoltura (calo delle superfici coltivate a grano duro di circa 130mila ettari) perché senza Granaio Italia il nostro paese è meta libera per importazioni selvagge.
Ancor prima di parlare di equa ripartizione del valore e di responsabilità, dunque, sarebbe bene guardare a tutti i costi. Partendo dalla terra, dall’etica di produzione, ma con la massima attenzione per tutte le fasi successive fino alla commercializzazione a scaffale, perché è ogni singolo passaggio a fare la differenza. È a partire dei costi di produzione che aziende e distribuzione devono calcolare il loro margine. E non il contrario. Come uscire da questo paradosso, che penalizza sia gli agricoltori che i consumatori?
Una proposta, che non è una soluzione ma sarebbe già un passo avanti, c’è. All’epoca, quando all’interno dell’Ue si stava sviluppando la tracciabilità del prodotto, si discusse della possibilità che fosse esposta anche la tracciabilità del prezzo. Perché, se anche solo il consumatore sapesse a chi vanno i suoi soldi (per esempio scrivendo ogni passaggio su ogni confezione), qualcosa potrebbe cambiare. Le dinamiche speculative dei mercati richiedono risposte immediate, perché influenzano i prezzi e possono portare a instabilità, ma anche e soprattutto una nuova, forte e costruttiva presa di coscienza e un movimento di opinione di tutti noi nei confronti e a favore di chi lavora la terra. C’è bisogno di un’assunzione di responsabilità collettiva tra tutti gli attori della filiera produttiva: produttori, aziende, distributori e consumatori.
Perché solo attraverso il rispetto reciproco e la trasparenza possiamo garantire un futuro sano e una società più empatica, più equa, sostenibile e partecipativa.










