Depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi alimentari… i disagi giovanili spesso rischiano di trasformarsi in malattia mentale. I consigli dei medici del Bambino Gesù e il nostro dossier nel numero in edicola
Depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria. Nel mondo circa 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni soffre di un disturbo mentale diagnosticato. In Europa i minori che soffrono di un problema di salute mentale sono più di 11 milioni, in Italia sono circa 2 milioni. In occasione della giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha stilato un elenco di consigli peri genitori. Anche Il Salvagente nel numero in edicola in un dossier ha affrontato, con specialistici e tecnici della riabilitazione, il tema del disagio giovanile che spesso nasconde i prodromi di una vera e propria malattia mentale.
Gli esperti del prestigioso ospedale pediatro indicano i campanelli di allarme a cui prestare attenzione e i consigli per creare un ambiente familiare che favorisca la salute mentale dei figli. “Negli ultimi 10 anni le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso dell’Ospedale sono aumentate del 500%” spiega il professor Stefano Vicari responsabile della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù.
Secondo l’Unicef nel mondo 166 milioni di adolescenti tra i 10 e i 19 anni (1 su 7) ha un disturbo mentale diagnosticato. Di questi, 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze. A livello mondiale, circa la metà dei problemi di salute mentale si manifesta entro i 18 anni, nonostante molti casi rimangano non individuati e non trattati. In Europa i minori che hanno un problema di salute mentale sono 11,2 milioni (13%). Di questi, 5,9 milioni sono maschi e 5,3 femmine. L’8% degli adolescenti (15-19 anni) soffre di ansia, il 4% di depressione. Il suicidio è la seconda causa di morte (circa un decesso su sei) dopo gli incidenti stradali.
I dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dicono che in Italia circa 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale. Si tratta di circa 2 milioni di minori. All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso sono passate dalle 237 del 2013 alle 1.415 del 2023 con un picco di 1.824 nel 2021. Un aumento del 500%: da 1 consulenza ogni giorno e mezzo di media a circa 4 al giorno. Gli accessi per autolesionismo sono passati dai 25 del 2013 ai 607 del 2023. “Quelli psichiatrici sono i disturbi più frequenti in età evolutiva. Molto di più delle malattie infettive e dei tumori – spiega il professor Stefano Vicari – Le malattie mentali rappresentano la terza causa di accesso al pronto soccorso del Bambino Gesù dopo la disidratazione e la febbre”.
I campanelli di allarme
I campanelli di allarme a cui i genitori devono prestare particolarmente attenzione sono i cambiamenti. Soprattutto quando sono repentini e prolungati nel tempo Quando un bambino o un adolescente inizia a presentare segni di malessere psicologico, questi si accompagnano infatti a dei cambiamenti emotivi e comportamentali rispetto alle normali abitudini di vita. I cambiamenti possono riguardare il rendimento scolastico, con un repentino peggioramento, la comparsa di difficoltà nel dormire la notte, il peggioramento delle abitudini alimentari (mangiare troppo, mangiare poco, mangiare male), l’abbandono di un’attività sportiva che si praticava con soddisfazione, il ritiro sociale, irritabilità e scontrosità accentuati o un’eccessiva anedonia, cioè la difficoltà a provare piacere per e cose che prima davano piacere. “Ovviamente tutti gli adolescenti di tanto in tanto presentano queste modalità di comportamento – chiarisce Vicari – Ma quando questi atteggiamenti diventano quotidiani, rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento abitudinario e durano settimane o mesi, allora è bene chiedere aiuto”.
I campanelli di allarme non sono però solo quelli comportamentali. Possono essere anche fisici. È il caso dell’autolesionismo, un fenomeno in grande crescita, soprattutto tra i giovani adolescenti (13-14 anni). Anche il repentino ed eccessivo aumento o perdita di peso può essere un segnale che nasconde un disturbo del comportamento alimentare. È quindi importante prestare attenzione al corpo dei propri figli, osservarli. “A volte i genitori per pudore o rispetto della privacy dei propri figli evitano di farlo – spiega Vicari – I figli hanno bisogno di essere controllati. È il ruolo dei genitori. La relazione genitore-figlio non è una relazione tra amici, ma tra chi è adulto e chi no, tra chi deve educare e chi deve essere educato”.
Come comportarsi
Il primo suggerimento è esserci. È importante sia la qualità che la quantità del tempo passato coi propri figli. È importante trovare il tempo anche per stare in silenzio insieme a loro. Non è necessario dirgli costantemente cosa fare e non fare. L’esempio è molto più importante. È importante ascoltarli e vedere cosa fanno. «Per farlo è necessario trovare il tempo – spiega Vicari – È fondamentale garantire una presenza fisica accanto ai propri figli. Altrimenti la comunicazione rischia di diventare prevalentemente funzionale e direttiva: “Lavati, studia, metti in ordine, hai preparato la borsa?”. Il messaggio che deve passare ai figli è semplice: “Se hai bisogno, io sono qui”».
Un altro aspetto centrale per creare un ambiente ottimale per i figli è quello di metterli in condizione di costruire relazioni, anche dentro la famiglia. Uno studio che riguarda i minori che sono riusciti ad affrontare meglio il distanziamento sociale e le restrizioni durante il Covid-19 ha dimostrato l’importanza di vivere in una famiglia numerosa, in cui si parla e si gioca, di leggere e fare attività fisica. “Il benessere mentale si costruisce insieme al benessere fisico e cognitivo, coltivando cioè conoscenza e sapere, giocando – continua Vicari – Il segreto è stare coi propri figli e divertirsi standoci. Non viverla come una condanna, come se stare con loro fosse tempo sottratto ai propri interessi”.
Lasciare che il bambino si annoi: la noia non è un elemento negativo. Anzi. Nella vita di tutti i giorni avere del tempo a disposizione per non fare nulla vuol dire favorire la creatività, la fantasia. Immaginare delle cose che nel tempo fittamente organizzato che i figli hanno si fa fatica a trovare. «La creatività nasce da questo, dall’avere un bastoncino in mano e immaginare che sia un’astronave per esplorare i pianeti».
Impedire l’accesso ai farmaci tenuti in casa. Negli adolescenti il suicidio è la seconda causa di morte. L’ingestione incongrua dei farmaci è infatti il metodo più utilizzato. È quindi fondamentale che i farmaci presenti in casa non siano facilmente raggiungibili tenendoli chiusi a chiave.
Limitare l’accesso ai dispositivi elettronici (computer, smartphone, ecc.) e ai social è un altro elemento che aiuta a prevenire l’insorgenza di possibili problemi psichiatrici. Le dipendenze hanno infatti un ruolo determinante sull’aumento delle patologie psichiatriche. Tutti i tipi di dipendenze, sia quelle da stupefacenti – «i bambini oggi iniziano ad usare i cannabinoidi già dalla scuola secondaria di primo grado» racconta Vicari – sia quelle da gioco da azzardo – «circa 1 minore su 3 frequenta le sale scommesse ho gioca al gratta e vinci».
La dipendenza da dispositivi elettronici e da internet ha effetti negativi sul cervello, si attivano le stesse aree che si attivano con una dipendenza da sostanze chimiche. “Nel 2013 crollano i prezzi dei telefonini che diventano più accessibili per tutti – spiega Vicari – I bambini hanno ormai un accesso, spesso senza controllo, a uno strumento fantastico, ma che nasconde grandi insidie. Oggi i minori accedono a molte informazioni, di ogni tipo, tramite internet. A cui di fatto viene delegata, anche inconsapevolmente, una parte della funzione educante che dovrebbe invece essere dei genitori e della scuola”.
Quando i genitori riscontrano alcuni dei campanelli di allarme che potrebbero indicare la presenza di un problema neuropsichiatrico è importante chiedere aiuto. «La cosa importante da sottolineare è che se ne esce – conclude Vicari – Per questo invitiamo i genitori a prestare attenzione ai segnali rivelatori. Ancora oggi esiste un grande stigma, culturale e sociale, a parlare apertamente di disturbi psichiatrici. È invece importante parlarne e chiedere aiuto perché rivolgendosi a chi se ne occupa si può guarire».
Come intervenire: la riabilitazione psichiatrica
Nel numero in edicola come anticipavamo c’è un lungo dossier dedicato ai disagi dei giovani. Di seguito anticipiamo l’intervista dottoressa Chiara Laura Riccardo, tecnico della riabilitazione psichiatrica.
Secondo l’Oms l’adolescenza “è un momento in cui le persone diventano individui indipendenti, creano nuove relazioni, sviluppano abilità sociali e apprendono comportamenti che durano il resto della loro vita” ma il 20% dei bambini e adolescenti soffre di disturbi mentali, il 75% dei quali esordisce prima dei 25 anni e la metà mostra sintomi entro i 14 anni, con un preoccupante incremento di disturbi emotivi, uso di sostanze e condotte suicidarie, soprattutto tra le ragazze.
Abbiamo deciso di approfondire l’argomento con la dottoressa Chiara Laura Riccardo, tecnico della riabilitazione psichiatrica specializzata in scienze riabilitative e scienze della mente, segretario della Commissione di albo nazionale dei Tecnici della riabilitazione psichiatrica della Federazione nazionale degli Ordini Tsrm e Pstrp.
Dottoressa Riccardo, come si attua un intervento di riabilitazione psichiatrica per un adolescente?
In Italia si è sviluppato un modello di assistenza ‘community based’ cioè di comunità, ma le disparità presenti nel paese, le difficoltà nel realizzare servizi ad hoc suggeriscono cautela nel dare per scontato un diffuso impegno nei confronti degli interventi precoci.
Ci pare di capire che non sempre tutto funziona…
Non sempre i servizi sono adeguati nel dare risposte a giovani che necessitano di supporti tagliati su misura per loro e che non possono essere estensioni di quelli per adulti o bambini. Gli interventi dovrebbero essere rivolti a tutti gli adolescenti per promuovere la salute mentale, agli adolescenti colpiti da emergenze umanitarie, adolescenti con problemi emotivi e a chi manifesta comportamenti distruttivi/oppositivi.
In che modo vengono coinvolte le famiglie?
Le ricerche evidenziano chiaramente come i disturbi mentali che colpiscono i giovani abbiano profondi effetti negativi sul sistema familiare sia dal punto di vista emotivo che pratico, con vissuti di profonda prostrazione, confusione e smarrimento, non riuscendo spesso a sostenere i figli nell’affrontare la crisi e soffrendo. Diventa dunque determinante, per l’efficacia del trattamento, la costruzione di un’alleanza tra professionista e famiglia del giovane, in quanto i familiari possono affiancare i professionisti nel processo di cura del figlio, a condizione di essere sostenuti nella loro sofferenza. Anche l’ambiente scolastico ha un ruolo fondamentale: che è il contesto privilegiato in cui realizzare programmi di prevenzione e promozione della salute mentale.
Che influenza ha lo stigma nella richiesta di aiuto?
Spesso molti giovani e famiglie rinunciano a chiedere aiuto ai servizi di salute mentale a causa di svariati fattori, tra i quali i principali sono lo stigma e la discriminazione che deriva dall’accesso a queste cure. Lo stigma include problemi di conoscenza (ignoranza o misinformazione), di attitudine (pregiudizio) e di comportamento (discriminazione). In qualità di professionisti sanitari, siamo costantemente impegnati nella lotta contro il pregiudizio facendoci noi stessi portavoce e capillarizzando una corretta informazione sul disagio mentale per contrastare lo stigma.
Esistono dei programmi di prevenzione?
Le ricerche più accreditate dicono che, per la promozione della salute dei giovani, bisogna mettere in atto azioni volte all’insegnamento e all’adozione di competenze socio-emotive e relazionali anche dette “Life Skills”, che permettono ai ragazzi di affrontare efficacemente le richieste della vita quotidiana. Queste azioni hanno un ruolo centrale nella promozione della salute e permettono di mantenere uno stato di benessere psicofisico e di adottare un comportamento adattivo e funzionale. In contesti socio-sanitari e scolastici, l’apprendimento strutturato delle life skills prevede una metodologia attiva ed esperienziale che facilita il coinvolgimento dei ragazzi mediante il lavoro in gruppo, giochi di ruolo e discussione. Una parte importante del lavoro dei TeRP comprende l’area della prevenzione, ambito ancora poco sviluppato.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate?
Le istituzioni e gli stessi professionisti ‘faticano’ ad includere programmi di prevenzione primaria e organizzare dei servizi deputati a questo fondamentale campo di intervento. La sfida allora è realizzare un sistema di servizi per la salute mentale dei giovani e per le loro famiglie, molto più inclusivo, supportivo, in chiave salutogenica, in grado di fornire un intervento precoce anche per le situazioni individuate come a rischio psicopatologico: questo è ciò che è richiesto in tutti i paesi sviluppati e, probabilmente, anche nei paesi a basso e medio reddito.
Dottoressa Riccardo, come si attua un intervento di riabilitazione psichiatrica per un adolescente?
In Italia si è sviluppato un modello di assistenza ‘community based’ cioè di comunità, ma le disparità presenti nel paese, le difficoltà nel realizzare servizi ad hoc suggeriscono cautela nel dare per scontato un diffuso impegno nei confronti degli interventi precoci.
Ci pare di capire che non sempre tutto funziona…
Non sempre i servizi sono adeguati nel dare risposte a giovani che necessitano di supporti tagliati su misura per loro e che non possono essere estensioni di quelli per adulti o bambini. Gli interventi dovrebbero essere rivolti a tutti gli adolescenti per promuovere la salute mentale, agli adolescenti colpiti da emergenze umanitarie, adolescenti con problemi emotivi e a chi manifesta comportamenti distruttivi/oppositivi.
In che modo vengono coinvolte le famiglie?
Le ricerche evidenziano chiaramente come i disturbi mentali che colpiscono i giovani abbiano profondi effetti negativi sul sistema familiare sia dal punto di vista emotivo che pratico, con vissuti di profonda prostrazione, confusione e smarrimento, non riuscendo spesso a sostenere i figli nell’affrontare la crisi e soffrendo. Diventa dunque determinante, per l’efficacia del trattamento, la costruzione di un’alleanza tra professionista e famiglia del giovane, in quanto i familiari possono affiancare i professionisti nel processo di cura del figlio, a condizione di essere sostenuti nella loro sofferenza. Anche l’ambiente scolastico ha un ruolo fondamentale: che è il contesto privilegiato in cui realizzare programmi di prevenzione e promozione della salute mentale.
Che influenza ha lo stigma nella richiesta di aiuto?
Spesso molti giovani e famiglie rinunciano a chiedere aiuto ai servizi di salute mentale a causa di svariati fattori, tra i quali i principali sono lo stigma e la discriminazione che deriva dall’accesso a queste cure. Lo stigma include problemi di conoscenza (ignoranza o misinformazione), di attitudine (pregiudizio) e di comportamento (discriminazione). In qualità di professionisti sanitari, siamo costantemente impegnati nella lotta contro il pregiudizio facendoci noi stessi portavoce e capillarizzando una corretta informazione sul disagio mentale per contrastare lo stigma.
Esistono dei programmi di prevenzione?
Le ricerche più accreditate dicono che, per la promozione della salute dei giovani, bisogna mettere in atto azioni volte all’insegnamento e all’adozione di competenze socio-emotive e relazionali anche dette “Life Skills”, che permettono ai ragazzi di affrontare efficacemente le richieste della vita quotidiana. Queste azioni hanno un ruolo centrale nella promozione della salute e permettono di mantenere uno stato di benessere psicofisico e di adottare un comportamento adattivo e funzionale. In contesti socio-sanitari e scolastici, l’apprendimento strutturato delle life skills prevede una metodologia attiva ed esperienziale che facilita il coinvolgimento dei ragazzi mediante il lavoro in gruppo, giochi di ruolo e discussione. Una parte importante del lavoro dei TeRP comprende l’area della prevenzione, ambito ancora poco sviluppato.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate?
Le istituzioni e gli stessi professionisti ‘faticano’ ad includere programmi di prevenzione primaria e organizzare dei servizi deputati a questo fondamentale campo di intervento. La sfida allora è realizzare un sistema di servizi per la salute mentale dei giovani e per le loro famiglie, molto più inclusivo, supportivo, in chiave salutogenica, in grado di fornire un intervento precoce anche per le situazioni individuate come a rischio psicopatologico: questo è ciò che è richiesto in tutti i paesi sviluppati e, probabilmente, anche nei paesi a basso e medio reddito.