Dichiarato inammissibile l’emendamento alla legge di Bilancio, presenetato da tutti i partiti di opposizione -che chiedeva di inserire sull’etichetta delle carni la dichiarazione allevato senza gabbie, “cage free”. Le associazioni animaliste: “I consumatori hanno diritto alla trasparenza”
La maggioranza di centro-destra dice no all’indicazione “senza gabbie” (cage free) in etichetta. La scorsa settimana è stato dichiarato dalla Commissione Bilancio inammissibile l’emendamento alla legge finanziaria presentato in pratica da tutti i partiti di opposizione.
“Sì alla trasparenza, no alle gabbie, sì al segno distintivo cage-free” è l’appello che dopo la bocciatura alcune associazioni – Animal Equality Italia, Animal Law Italia, Ciwf Italia, Enpa, Essere Animali, HSI/Europe, Lav, Legambiente e Lndc Animal Protection – a nome della coalizione italiana End the Cage Age hanno rivolto al Parlamento. In una conferenza stampa giovedi 21 novembre le associazioni e alcuni parlamentari hanno rilanciato la proposta della creazione di un segno distintivo “cage-free” (“senza gabbie”) per tutte le specie allevate nell’ambito della specifica etichettatura relativa al Sistema di qualità nazionale per il benessere animale (Sqnba) che sarà sul mercato dall’anno prossimo.
La certificazione “cage-free”, spiegano le associaizoni, darebbe rilievo positivo ai prodotti provenienti da sistemi che non fanno uso di gabbie, riconoscendo l’impegno delle numerose aziende agroalimentari – tra cui molte italiane – che stanno eliminando gradualmente le gabbie dalle proprie filiere. Sono già oltre 1.400 le aziende alimentari europee che si sono impegnate a non utilizzare le gabbie per l’allevamento delle galline ovaiole e ben oltre la metà di queste aziende hanno già realizzato i loro impegni per vendere o utilizzare solo uova cage-free anche per i prodotti confezionati, mentre altre si sono impegnate ad eliminare le gabbie per l’allevamento di scrofe e conigli. In Italia, tre importanti produttori del settore suinicolo hanno preso impegni pubblici e concreti per eliminare le gabbie per le scrofe dalle proprie filiere, generando un impatto economico positivo e allargando le possibilità per l’export del made in Italy verso mercati esteri ed europei che presentano standard più elevati, come Regno Unito e Svezia.
In Europa, ogni anno oltre 300 milioni di animali allevati a fini alimentari – di cui almeno 40 milioni in Italia – trascorrono ancora tutta la vita o gran parte della vita in gabbia. Gli animali tenuti in gabbia sono rinchiusi in ambienti spogli, in condizioni di sovraffollamento o di totale privazione di contatti, incapaci di girare su sé stessi o di esprimere anche i più basilari comportamenti naturali della specie. La ricerca scientifica dimostra che le gabbie sono gravemente dannose per il benessere degli animali: posizione da cui non si discostano, ma che anzi confermano, i più recenti pareri scientifici dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
“Siamo sorpresi e sconcertati che l’emendamento per la creazione del bollino ‘cage-free’ sia stato dichiarato inammissibile” – dichiarano le associazioni. “Sarà stata una svista o un mero errore formale, sarebbe inspiegabile perdere l’occasione, a costo quasi zero, per migliorare le condizioni degli animali allevati e, soprattutto, far uscire dal buio e dall’anonimato l’impegno delle tante aziende agroalimentari italiane che stanno eliminando gradualmente le gabbie dalle proprie filiere. Per far ciò queste aziende hanno compiuto investimenti a proprie spese ed il minimo che Parlamento e governo possono fare è permettere loro di rendere riconoscibili i propri prodotti da quelli che invece arrivano da animali in gabbia. Questa svista non chiude la questione, ci attendiamo che la battaglia politica per il riconoscimento di questo importante strumento di giustizia e trasparenza venga, con eventuali modifiche, raccolta e vinta da tutto il Parlamento sin da questa legge di Bilancio”.
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L’onorevole M5S Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente, ha dichiarato in conferenza stampa: “La vita in gabbia per gli animali è veramente pesante e contrasta con tutti i principi di benessere animale, costringendoli ad uno straziante ergastolo. Saremmo felici se questo diventasse un emendamento governativo, è una speranza, forse un’utopia, ma è quella che seguiamo, quella di un futuro senza gabbie”. Eleonora Evi deputata del Pd ha aggiunto: “Siamo riusciti a mettere sullo stesso tavolo tutte le opposizioni, che hanno presentato insieme questo emendamento, che chiede una cosa semplice e chiara: riempire di significato la certificazione Sqnba che attualmente è una scatola vuota. Un’etichetta distintiva consentirebbe la possibilità di scelta ai consumatori e sosterrebbe quegli allevatori che la transizione a sistemi non in gabbia l’hanno già fatta”.
Dove finiscono le uova in gabbia
Nel numero di settembre 2024 abbiamo analizzato 10 tagliatelle all’uovo e confrontato le dichiarazioni in etichetta. Fresche e italiane ma non è dato sapere da quale tipo di allevamento provengono le uova usate per fare la pasta. Succede sulle confezioni delle Fettuccine all’uovo Luciana Mosconi e Antica ricetta tagliatelle La pasta di Camerino. Non che sia obbligatorio per i produttori menzionare se si tratta di uova da galline costrette in gabbia o allevate a terra. Tuttavia sulle etichette degli altri otto prodotti analizzati viene specificato che le uova provengono da “galline allevate a terra” . Un’informazione che non troviamo sulle due paste marchigiane che pure brillano per l’uso del maggior numero di uova tra i marchi coinvolti nelle nostre analisi. Va anche detto che le due aziende hanno altre linee di prodotto dove dichiarano il tipo di allevamento, come quello a terra.
Del resto l’allevamento in gabbia è una metodologia zootecnica ancora diffusa in Italia e in Europa. Chiara Caprio, è la responsabile Relazioni istituzionali di Essere Animali: “L’Europa è il continente con più uova provenienti da allevamenti non in gabbia – ormai siamo a oltre il 60% complessivamente, con alcuni paesi più avanti di altri – ma c’è ancora della strada da fare, perché di fatto in alcuni settori i progressi sono ancora troppo lenti, anche in Italia”.
Dove finiscono le uova prodotte dalle ovaiole in gabbia? Nel settembre del 2023 il Centro consumatori tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia ha analizzato una lunga serie di prodotti e si è accorta che in alcuni casi particolarmente non veniva menzionato, seppur non obbligatorio, il metodo di allevamento: in circa il 50% di torte e pasticcini, nell’80% delle insalate russe di marca e nel 60% di maionesi e altre salse. Un altro settore dove l’utilizzo delle uova in gabbia è molto diffuso è quello della ristorazione collettiva come ha messo in evidenza l’ultimo report EggTrack di Compassion in world farming.