L’ultimo si chiama SoliDando e ha aperto da pochi giorni a Milano, ma il passaparola ha girato così velocemente che sono già 200 le domande di persone che chiedono di potervi accedere, contro le 150 a cui l’attività può far fronte, per adesso.
Sono gli empori solidali, veri e propri “supermercati” in cui però si fa la spesa gratis: sono una settantina in Italia (60-65 quelli censiti in occasione dell’Expo) e costituiscono un reale sostegno alle famiglie, in primis con figli, che sono già in condizioni di povertà o che rischiano di cadere in quello stato da un momento all’altro. Famiglie che, spesso, non osano chiedere, temporeggiano, ma poi sono costrette a farsi avanti per non crollare. Le storie di questo tipo sono tante e raccontano di italiani e di stranieri in grave difficoltà economica e di vita.
4 milioni e 600mila persone povere
Del resto la fotografia scattata dall’Istat pochi giorni fa sulla situazione nel 2016 è allarmante: il 28,7% delle famiglie è a rischio di povertà o esclusione. La quota quasi raddoppia nelle famiglie con almeno un cittadino straniero. Nel 2015, in assoluto, erano un milione e 582mila di famiglie in condizioni di povertà assoluta pari a 4 milioni e 600mila persone. Poi ci sono i nuovi poveri che magari hanno un lavoro e una casa, ma ugualmente non riescono ad arrivare alla fine del mese e un imprevisto può farli precipitare.
In passato sono state la Caritas e spesso le parrocchie ad occuparsi di questa emergenza, ma, poi questi centri sono diventati delle esperienze laiche in molti casi, come racconta Giancarlo Funaioli, del coordinamento regionale dei Csv (Centri di servizio per il volontariato) dell’Emilia-Romagna, da cui sono nati gli empori solidali in questa regione, “nel 2009 ci siamo resi conto di come la crisi economica cominciasse a far sentire i suoi effetti e i centri di servizio per il volontariato iniziarono a definire strategie di contrasto alla povertà”; non necessariamente quella conclamata, ma quella di chi è sul crinale. “La logica degli empori solidali, infatti, è quella del supporto temporaneo, che può durare sei mesi o un anno”, un tempo che può essere utile per migliorare la propria condizione lavorativa e finanziaria senza avere il terrore del “cosa si mangia oggi”. Ma anche per dare una mano quando inizia la scuola a procurarsi il materiale indispensabile, ad esempio. Gli empori solidali accolgono, “ed è per questo che è molto importante anche la formazione che devono seguire i volontari che prendono servizio al loro interno, perché bisogna essere motivati”, aggiunge Funaioli.
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A Bologna con le Case Zanardi
Dopo l’esperienza di Parma che ha dato il via agli empori emiliani, a Bologna le Case Zanardi – questo il nome dei tre empori solidali che richiama il cognome del ‘sindaco del pane’ delle Due Torri – come anche nel resto dell’Emilia – nascono grazie ad una forte collaborazione dei Csv con gli enti locali, nel capoluogo emiliano di VolaBo con l’Istituzione per l’inclusione sociale don Serra Zanetti, e con le Coop di distribuzione che hanno fatto una donazione iniziale e anche formazione su come gestire un supermercato. “Gli empori solidali in regione si sono diffusi talmente tanto che le diverse esperienze si sono date appuntamento nel primo festival che si è svolto a Cervia, in provincia di Ravenna, la scorsa estate.
La tessera a punti di SoliDando a Milano
A Milano, SoliDando è nato ispirandosi al modello di gestione utilizzato dell’emporio solidale di Cesano Boscone della Caritas ambrosiana e al software che lì veniva utilizzato e che traccia tutte le operazioni che vengono utilizzate: “Esisteva già l’esperienza di Terza settimana ma è organizzata diversamente (è più simile al modello dei gruppi di acquisto solidali, ndr)”, sottolinea Agostino Frigenio, presidente dell’Istituto della Beata vergine addolorata, realtà nata nel 1801 che da 12-13 anni ha concentrato la sua attività sull’accoglienza ai migranti organizzando corsi di lingua, doposcuola oltre una serie di servizi di assistenza legale e dedicati alla ricerca del lavoro. SoliDando funziona con una tessera a punti che viene consegnata dopo che si sono accertate le condizioni delle famiglie attraverso l’Isee, il numero di figli, se minori di tre anni e così via. La tessera ordinaria di 50 punti corrisponde a circa 100 euro di spesa da effettuarsi in un mese; alcune famiglie in condizioni più difficili poi hanno tessere aggiuntive.
“Le donazioni non bastano: serve un aiuto pubblico”
L’accesso agli empori avviene per più strade: o per contatti interni delle associazioni che li hanno creati o perché inviati e segnalati dai servizi sociali degli enti locali o dalla Caritas ma anche per iniziativa individuale. Si possono fare donazioni. A Bologna sono forti quelle bancarie mentre a Milano per adesso la parte più grossa la fa la stessa istituzione che ha fatto nascere l’emporio: “Ma se si vuole aumentare il bacino delle persone da aiutare, è necessario un intervento ulteriore, anche da parte del Comune”, fa sapere Frigenio. La legge nazionale sugli sprechi alimentari potrebbe diventare, a breve, un altro canale utile a dare gambe più forti a queste esperienze. “Anche noi, come altri empori, ci siamo dati il tempo di un anno per seguire il percorso delle famiglie che aiutiamo – spiega ancora Frigenio -, ogni quattro mesi facciamo una verifica; poi però vorremmo lavorare sul versante di un osservatorio attraverso cui capire chi esce dalla povertà e perché ne esce, poiché entrare nell’esclusione sociale è facile ma uscirne è molto difficile. Come dice Francesco Ambrosini, la povertà è dentro l’esclusione sociale, l’emarginazione e la solitudine”.
Progetti che nascono tra gli scaffali
Poi succede anche che attorno agli scaffali e alle passate di pomodoro e alla pasta prendano forma altri progetti: nell’emporio di Montagna Poiano, in provincia di Sondrio, ad esempio, è nato anche lo ‘scaffale relazionale’, una bacheca in cui trovare opuscoli dove si offrono corsi di danza, di basket e di calcio gratuiti, ma anche doposcuola o prestazioni in centri ottici. “Lo scaffale relazionale è destinato anche a quelle famiglie che pur non avendo bisogno di cibo sono comunque in difficoltà – spiega Valentina Bertola, operatrice di ‘Più segni positivi’, progetto promosso dalle cooperative Solco Sondrio, Intrecci e dal Csv che ha portato all’apertura dell’emporio nel novembre del 2015. -, e quindi non possono permettersi, per esempio, i costi dell’iscrizione dei figli ad attività di svago oppure consulenze psicologiche o altre prestazioni. Si tratta di servizi dedicati ai più giovani, così che le famiglie possono dare ai figli le stesse possibilità dei loro coetanei”.