L’infedeltà patrimoniale è un reato che individua i comportamenti in conflitto di interessi degli amministratori di una società e prevede pene per questi comportamenti. Vediamo in cosa consiste
Il delitto di infedeltà patrimoniale è un reato societario regolato dall’art. 2634 del codice civile ed introdotto nel nostro ordinamento con la riforma attuata dal d.lgs. n. 61/2002. In base a quanto previsto dall’art 2634 codice civile: “Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni”. E ancora: “La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa”.
Infedeltà Patrimoniale, cos’è
Si tratta di un reato in cui un soggetto, generalmente un amministratore, un direttore generale o un liquidatore, ad esclusione dei sindaci, ha un interesse personale che va in conflitto con quelli della società. Si manifesta dunque la fattispecie nella quale il soggetto con la propria condotta porta alla società un danno patrimoniale di natura economica, che deve essere reale ed effettivo. Nel farlo, segue degli interessi personali, sfruttando il proprio ruolo decisionale all’interno della realtà economica.
Le responsabilità
Ad essere maggiormente esposti al rischio di infedeltà patrimoniale sono i direttori generali delle società, in quanto hanno un ruolo operativo determinante e detengono la responsabilità di condurre la realtà economica al successo. Come riportato dall’art 2634 c.c., questo tipo di reato vede tra i suoi soggetti attivi anche altre figure come gli amministratori e i liquidatori, proprio in virtù del ruolo decisionale che possono ricoprire all’interno di un’azienda. Gli amministratori, in una società di capitali, siedono nel consiglio dell’azienda e possono dunque inficiare in maniera netta sui risultati della società. I liquidatori sono invece i soggetti che ricoprono un ruolo di amministrazione durante una fase di liquidazione della società e che devono quindi tutelare il suo patrimonio per rispondere ai soci e ai creditori.
Dai soggetti attivi sono esclusi, come detto, i sindaci, in quanto vengono considerati estranei alla relazione tra i soggetti attivi e il patrimonio sociale ed esercitano soltanto un potere di controllo.
Il conflitto di interessi
Il reato di infedeltà patrimoniale si verifica ogniqualvolta un soggetto qualificato manifesti un comportamento che costituisce la violazione di un dovere di correttezza, lealtà e cura degli interessi societari “al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio” (art. 2634 c.c.). C’è quindi un interesse personale che va in conflitto con quello della società.
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Ma come capire se il comportamento posto in essere da uno dei sopracitati soggetti attivi costituisce il presupposto per il reato di infedeltà patrimoniale? Secondo quanto previsto dalla giurisprudenza, è necessario che il conflitto di interessi abbia natura economica, sia attuale, reale ed effettivo. La Corte di Cassazione ha ribadito tale concetto con la sentenza numero 55412/2018, nella quale si legge: “Ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 c.c., è necessario un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l’amministratore agente e la società”. Se ne deduce che il reato di infedeltà patrimoniale non si configura nei casi in cui un soggetto attivo compia un semplice illecito, ma è necessario che il soggetto stesso concorra a provocare un danno economico alla società.
È importante anche sottolineare che il reato non riguarda solo le azioni che danneggiano la società in maniera diretta, ma anche tutte le azioni di omissione che portano ad una diminuzione del patrimonio sociale o ad una perdita economica sostanziale.
Nella norma, sono infine previste due azioni concomitanti per il verificarsi del presupposto di reato:
- dolo intenzionale, con la necessità di accertare l’intenzionalità del soggetto ad arrecare il danno;
- dolo specifico, con il soggetto che deve avere l’obiettivo dimostrato di ottenere un vantaggio per sé o per altri soggetti.
I beni coinvolti
Il reato di infedeltà patrimoniale riguarda in particolar modo i beni sociali, ovvero tutti quei beni mobili o immobili che appartengono alla società. Il danno può essere arrecato sia ai beni materiali che a quelli immateriali, anche se possono essere interessati solo quelli che possono essere valutati economicamente e sui quali la società vanta un diritto qualsiasi, non necessariamente di proprietà.
Si fa nello specifico riferimento a:
- beni mobili e immobili della società;
- diritti di brevetti e opere di ingegno;
- macchinari, impianti, terreni di proprietà della società;
- rimanenze di magazzino della società e dei suoi comparti;
- somme di denaro detenute presso casse, conti correnti o crediti.
Facciamo un esempio
Al fine di rendere più comprensibile la fattispecie dell’infedeltà patrimoniale si fa ricorso ad un esempio pratico. Il caso è quello in cui un soggetto attivo, come può essere il direttore generale di un’azienda, nel suo operato agisce non curando gli interessi societari, ma i propri. Ecco dunque che potrebbe porre in essere delle decisioni, figlie del ruolo dallo stesso ricoperto, che pongono l’impresa in una situazione di difficoltà economica che avvantaggia però o il direttore generale stesso o altri soggetti con cui il direttore generale ha degli accordi privati. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui contribuisca al deterioramento volontario di beni mobili e immobili della società al fine di abbassare il loro valore di vendita o diffonda, per lucro personale, diritti di brevetti e opere di ingegno proprie dell’azienda per cui lavora.
Teoria dei vantaggi compensativi
Quando si parla di infedeltà patrimoniale, è necessario fare riferimento anche alla cosiddetta teoria dei vantaggi compensativi che prende in considerazione il reato in presenza di gruppi di società. Stante l’ultima riforma condotta nel 2022, è prevista la non applicazione del reato in esame nei casi in cui un danno che è stato perseguito verso una società del gruppo, con vantaggio per un altro, rientri in una situazione di bilanciamento dei rapporti. Secondo tale principio, dunque, è lecito portare un vantaggio ad una delle imprese del gruppo se va a compensare gli interessi generali. Come stabilito dal terzo comma dell’articolo 2634 c.c.: “In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa”.
In presenza di un gruppo di società collegata, per valutare se il reato di infedeltà patrimoniale sussista o meno, vanno verificati diversi comportamenti e azioni nel tempo; analizzando i singoli interessi delle società rispetto a quelli del gruppo, per verificare se c’è stata l’esecuzione di un reato oppure no.
La pena prevista e la procedibilità
Per chi si macchia del reato di infedeltà patrimoniale è prevista dall’ordinamento giuridico italiano una reclusione che va sei mesi a tre anni. Si tratta di uno dei principali casi di illecito compiuto da un soggetto che ha responsabilità gestionali e organizzative dell’impresa all’interno dei reati di tipo societario.
Affinché si possa procedere per infedeltà patrimoniale, è necessario che venga sporta una querela nei confronti dei soggetti attivi del reato. Il bene giuridico protetto dalla norma è, come ampiamente detto, il patrimonio della società nell’ambito della quale si è verificato l’atto di disposizione infedele. Inizialmente era previsto che la querela potesse essere presentata soltanto dalla società offesa, ma, grazie all’intervento della Corte di Cassazione, tale opzione è stata estesa anche ai singoli soci che condividono il pregiudizio causato alla società dall’atto di disposizione in ragione della sua partecipazione capitale sociale.
Con la sentenza n. 57077/2018, la Corte di Cassazione ha affermato che: “la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio; infatti il singolo socio è persona offesa del reato di infedeltà patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell’amministratore infedele è diretta a compromettere le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il depauperamento del loro patrimonio. È quindi del tutto irrilevante che il socio di minoranza, comunque offeso nei propri interessi dalla commissione del reato, possa anche avvalersi dello strumento processuale della nomina del curatore speciale ex articolo 78 c.p.c., per far sì che sia la società, in tal modo rappresentata, ad agire verso l’amministratore ritenuto infedele”.
La querela, in base a quanto previsto dall’art. 124 c.p. dovrà essere presentata entro “tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato”. Secondo la tesi prevalente, il giorno in cui il fatto che costituisce reato è conosciuto dalla società coincide con il momento in cui l’assemblea dei soci viene a conoscenza del fatto.