Siccità e caldo. La pioggia che scarseggia è un evento che viene da lontano, ma negli ultimi anni la storia si ripete più frequentemente. Oggi dobbiamo anche difenderci dai fenomeni intensi ed estremi
“Spiavo in cielo chissà piovesse, neanche una lacrima bagnava la terra, la siccità è più amara della guerra”. Sembra un mantra per invocare l’acqua. Sono invece le parole del cantautore folk Matteo Salvatore, uno dei più grandi interpreti e compositori di canti tradizionali popolari del Gargano. Nato ad Apricena, prima di essere scoperto da Claudio Villa, è cresciuto in quel granaio di Puglia dove spesso la terra ha sete e le crepe la percorrono come ferite sulla carne viva.
È proprio da questo territorio che nei giorni scorsi l’Ente Parco del Gargano ha chiesto al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, lo stato di calamità.
In verità quest’anno ovunque nel nostro paese fioccano richieste del genere. Gli effetti del cambiamento climatico (climate change) si cominciano a mordere ovunque. Le acque del Po che attraversano Torino hanno restituito un relitto della seconda Guerra Mondiale. L’acqua salata si sta mangiando la foce, con il cuneo salino risalito di 30 chilometri, minacciando le risaie.
Nessuno ricordava una secca così arida da 70 anni. Non a memoria dei torinesi di oggi, ma neppure a Cuneo, dove alle famose Cantine Toso i grappoli d’uva rischiano di rimanere appesi ai filari come scheletri. “Senza pioggia la raccolta prossima di uva è in pericolo. Per noi è una situazione inedita e di difficile, se non di impossibile previsione: si stanno verificando condizioni che da circa settant’anni non si verificavano nella storia, con un inverno senza neve, una primavera senza piogge e un’estate torrida“. Si dispera Gianfranco Toso, amministratore delegato dell’azienda di Cossano Belbo, nel cuneese, tra le più rinomate delle Langhe, patrimonio Unesco.
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Da queste parti si teme l’arrivo imminente di piogge distruttive, torrenziali, di quelle tropicali che scivolano via attraverso la superficie cementata del terreno e inondano gli spazi. A quel punto l’annata vitivinicola sarebbe del tutto compromessa.
Siccità: i numeri
L’emergenza idrica è nei numeri. Economia Circolare ha diffuso i dati Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Dalla prima metà del Novecento al 2020 le precipitazioni in Italia si sono ridotte di 104,8 millimetri, il 46% di pioggia in meno rispetto alla media degli ultimi 30 anni.
Il cambiamento trentennale è evidente anche in Friuli Venezia Giulia. Confcooperative Fvg stima che presso le cooperative agricole aderenti si preannuncia un impatto particolarmente pesante nel settore cerealicolo (-40%), ma le ripercussioni rischiano di farsi sentire un po’ in tutti i comparti della filiera agricola, aggravati dall’incremento dei costi energetici che sono a livelli critici da inizio anno. In questa regione ci sono aziende che non hanno accesso alle aree irrigate dai consorzi e devono affidarsi ai pozzi, con aggravio dei costi.
Il paradosso della dispersione idrica
Tutti questi numeri in realtà rivelano un paradosso. Il Wwf sostiene che l’Italia sia potenzialmente tra i più ricchi d’acqua. “Mediamente – sottolinea – le precipitazioni ammontano a circa 300 miliardi di metri cubi ogni anno, ovvero tra le più elevate in Europa e nel mondo”.
Peccato che ne sprechiamo tanta. Il dato più eclatante – osserva il Fondo Ambiente Fai – è quello degli acquedotti. Pensate che gli acquedotti e le reti idriche perdono in media 41,4 litri ogni 100 immessi nelle reti di distribuzione (inclusi nel dato gli allacciamenti abusivi e gli errori di misurazione). Le fondane di alcune grandi città zampillano senza interruzione. Si perde quasi la metà dell’acqua. La dispersione è molto più accentuata nel settore civile, con perdite del 45,3%. Per le pratiche irrigue si stima invece una dispersione di acqua del 15%. Gli acquedotti sono gestiti da enti spesso rappresentati da carrozzoni politici. La rete è gestita in modo inefficiente; scarseggia la manutenzione.
È un ben di Dio che grida vendetta in Africa, dove mezzo miliardo di persone vive in una situazione di insicurezza idrica. nonostante gli obiettivi globali di sviluppo sostenibile, ci sono almeno 19 nazioni a rischio di carenza d’acqua. L’accesso all’acqua potabile per tanti è ancora un miraggio. Lo hanno capito in Germania dove da un mese l’acqua è razionata. In Italia non è ancora chiaro.
La siccità dal 1500 a oggi
Intanto, il mondo guarda con più preoccupazione ai cambiamenti climatici. Più che in passato, quando la comunità scientifica era accusata di atteggiamento catastrofista. Molti sostengono che episodi di siccità e grande caldo siano frequenti nella storia. Vero. Ma ci sono delle differenze che proviamo ad analizzare.
Gli storici ricordano l’ondata eccezionale di siccità che colpì le aree dell’attuale Emilia Romagna e Lombardia nell’anno a cavallo tra il 1539 e 1540. I prezzi del grano impennarono, la carestia colpì la popolazione.
La cadenza dei successivi episodi è con frequenza anche più che centennale: la peste del 1616, la grandinata di Torino del 1741, la siccità del 1893 (una delle più gravi della storia d’Europa e d’Italia),
Dal Novecento in poi i casi si sono moltiplicati: nel 1921 le precipitazioni crollarono del 40%, nel ’45 i terreni ancora caldi di bombardamenti erano più aridi di quelli che vedremo nel 2003 (anno del grande caldo). Nel 1954 la siccità colpì il Sud Italia per oltre 5 mesi, ancora nel ’59 colpì il Nord Italia e la Sardegna, il 1976 toccherà alla Francia (alla siccità seguirono violentissimi fenomeni temporaleschi), si ricordano i 100 giorni senza pioggia dal novembre 1980 al marzo ’81. La serie di siccità e gran caldo si intensifica in pochi anni, ma aumentano i fenomeni temporaleschi improvvisi e violenti, che si scatenano sui terreni sempre più desertificati e impermeabili. Sbalzi e fenomeni estremi sono quasi la regola. L’alluvione del Piemonte del 1994-95, 161 morti per i nubifragi del 1998 a Sarno e Quindici, l’afa del 2003. Le calamità naturali e i fenomeni estremi si intensificano nel breve tempo, conseguenti a lunghi periodi di siccità.
Più fenomeni estremi, intensi e improvvisi
Luca Mercalli è stato uno dei primi climatologi italiani a osservare questa tipologia di fenomeni, oltre che metterci in guardia dal cambiamento climatico in tempi non sospetti. Meteorologo e divulgatore scientifico, recentemente a TeleAmbiente e a Cartabianca (Rai3) ha osservato:
“Di siccità ne abbiamo avute in passato, il problema è che adesso stanno diventando più frequenti, più intense ma soprattutto si combinano in maniera sfavorevole con l’aumento della temperatura. La siccità è già grave quando capita con un clima relativamente fresco ma diventa gravissimo quando le temperature sono molto più elevate della norma per il motivo che con il caldo le piante consumano più acqua, l’agricoltura va in crisi molto più in fretta, l’industria, specie la produzione di energia elettrica, richiede il raffreddamento delle centrali e questo le manda in sofferenza. Noi stessi quando è più caldo usiamo più acqua”.
Secondo l’Osservatorio CittàClima di Legambiente nel 2021 gli impatti più rilevanti si sono verificati in 602 comuni italiani, 95 in più rispetto al precedente anno. Tutti fenomeni estremi dai quali dovremo difenderci: “Bisogna approvare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”.
Legambiente incalza: “Siamo ancora in attesa che il nostro Paese si doti di uno strumento che individui le aree a maggior rischio e le priorità di intervento per orientare in modo efficace le politiche”. Una buona notizia è che il Ministero della Transizione Ecologica ha dato avvio al “Programma sperimentale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano””. Anche l’Europa aspetta: la Commissione europea nel 2013 ha già adottato la “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell’Ue”, al fine di aiutare gli Stati membri a pianificare le proprie attività e difendersi dai pericoli climatici.
Le frane e l’abusivismo edilizio in Italia
Tutti fenomeni che fanno “franare” l’Italia, uno dei Paesi più delicati al mondo, a causa dell’orografia del suo territorio, ma anche una nazione dove continuano a registrarsi abusivismi edilizi sistematicamente condonati dalla classe politica che preferisce fare cassa per sanare i bilanci pubblici, piuttosto che prevenire e investire nel lungo periodo.
Dieci anni fa, nel 2012, solo in Campania (una delle regioni più colpite dalle frane) si contavano 175mila immobili abusivi. In Liguria ogni anno si ripresenta, puntuale, il problema delle frane collegate all’abusivismo edilizio. I disastri naturali che colpiscono periodicamente Genova sono la dimostrazione dell’equilibrio fragile che tiene ancora in vita il rapporto tra uomo e natura. La serie storica dei fenomeni alluvionali nel capoluogo ligure registra un’intensificazione degli eventi dal 1992 al 2014.
Clima impazzito? O siamo impazziti noi?
Allagamenti, frane, esondazioni, tornado e trombe d’aria, chicchi di grandine che piovono come pietre, ghiacciai che si sciolgono, danni a infrastrutture e patrimonio, siccità e ondate dii calore. Sono tutti indicativi di quello che chiamiamo “clima impazzito”.
Ma qui, a essere impazziti (o pazzi) siamo noi umani. Il 28 luglio scorso è scoccata l’ora dell’Overshoot Day. Da quel momento siamo in debito ecologico con il pianeta, poiché abbiamo esaurito il nostro budget di risorse naturali a disposizione nell’arco dell’anno. Un decimo degli abitanti della terra ha spolpato le risorse disponibili. Un solo Paese al mondo vive possedendo un terzo della ricchezza totale, consumando risorse più del necessario. Nove decimi della popolazione mondiale ha difficoltà ad attingere acqua. Dall’Accordo di Parigi del 2015 mancavano appena 20 anni al punto di non ritorno del riscaldamento globale causato dalle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria. Ne sono passati già 7. Il timer del countdown scorre veloce e inesorabile.