Per i coadiuvanti tecnologici non c’è nessun obbligo di indicazione in etichetta eppure spesso sono le stesse sostanze che vengono usate come additivi (per i quali invece c’è l’obbligo). A cambiare è soltanto la fase del processo di trasformazione in cui vengono usati
Sono additivi alimentari ma per loro non c’è l’obbligo di indicazione in etichetta: stiamo parlando dei coadiuvanti tecnologici, una lunga lista di sostanze usate nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione. Rientrano in questa categoria, ad esempio, gli antischiuma utilizzati nel succo di ananas concentrato.
Additivi o coadiuvanti: che differenza
La maggior parte dei coadiuvanti tecnologici sono sostanze chimiche come acidi, alcoli o butano. Esistono anche numerosi enzimi, utilizzati per facilitare la pre-elaborazione di diversi ingredienti. Vengono così utilizzati per aumentare l’elasticità dell’impasto nella panificazione industriale, o permettere la coagulazione del latte nei formaggi.
Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questa grande famiglia non fa parte di quella degli additivi. Non perché siano sostanze necessariamente diverse, ma perché si trovano in quantità molto piccole nel prodotto finale e, soprattutto, non ne modificano le caratteristiche (a differenza degli additivi).
Quali coadiuvanti si trovano nel cibo
Per maggiore chiarezza, Henry-Éric Spinnler, professore di scienze alimentari all’AgroParisTech, fa l’esempio di un addensante in uno yogurt alla frutta. È probabile che interpreti entrambi i ruoli, di additivo o coadiuvante tecnologico. I produttori possono usarlo come additivo per addensare lo yogurt e poi lo indicheranno nell’elenco degli ingredienti. Possono anche usarlo come coadiuvante per dare consistenza alla preparazione di frutta, che verrà poi amalgamata allo yogurt; in questo caso, questo addensante rimarrà “incognito”.
Come possiamo vedere, la sfumatura tra coadiuvante tecnologico e additivo è sottile. Ma basta fare la differenza in termini di informazioni fornite ai consumatori: dal punto di vista normativo l’etichettatura è infatti obbligatoria per gli additivi, non per i coadiuvanti. E questo “anche se, per alcuni di essi, come gli addensanti, sappiamo che si trovano nel prodotto finale”, sottolinea Henry-Éric Spinnler.
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Lo yogurt “senza additivi” può contenere un addensante
Ciò significa anche che un prodotto può affermare di essere “senza additivi” ma contenere diverse sostanze chimiche aggiunte. È il caso dello yogurt: si potrà scrivere in etichetta che non contiene additivi ma sappiamo, però, che può contenere un addensante usato in fase di preparazione della frutta.
Basse quantità
Questa mancanza di etichettatura sui coadiuvanti tecnologici è giustificata dalle bassissime quantità residue presenti nel prodotto finale. Tuttavia, l’uso di queste sostanze è controllato, sia a livello europeo per quanto riguarda gli ausiliari-additivi ed enzimi, sia a livello nazionale per altri (come agenti di lavaggio o peeling).
Enzimi geneticamente modificati
Fortunatamente, le procedure di autorizzazione evolvono con i processi industriali. Gli enzimi, ad esempio, sono stati a lungo considerati non tossici. Ma i nuovi metodi di produzione, in particolare da microrganismi geneticamente modificati, richiedono una nuova valutazione del rischio.
Così, l’anno scorso, due enzimi sono stati vietati su iniziativa dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), in quanto il loro uso “presenta un rischio per la salute umana”. Si tratta di un’alfa-amilasi utilizzata nella panificazione, le cui proprietà antimicrobiche presentavano rischi di resistenza agli antibiotici, e una beta-galattosidasi utilizzata nei prodotti lattiero-caseari, che proveniva da un batterio Ogm Escherichia coli, inizialmente patogeno per l’uomo.
Contribuiscono all’effetto cocktail
Se le normative per la valutazione sanitaria europea delle sostanze sono rigide, lo stesso non si può dire dell’obbligo dei produttori di informare il consumatore. Tuttavia, in considerazione delle incognite tossicologiche su alcuni additivi – presenti o meno – tale obbligo è oggetto di una richiesta urgente da parte delle associazioni dei consumatori.
L’esposizione cronica a basse dosi di determinate sostanze risulta essere in grado di presentare rischi per la salute. “La valutazione delle miscele rimane una vera questione”, conferma Henry-Éric Spinnler, che ha fatto parte di vari comitati di esperti presso l’Agenzia nazionale per la sicurezza sanitaria (Anses) e questi ausili tecnologici contribuiscono quindi alla nostra esposizione a sostanze chimiche, che i ricercatori di salute ambientale oggi chiamano “esposoma“. E se non è facile proteggersi da questo inquinamento, la cosa più sicura è privilegiare gli alimenti non trasformati.