Scoprire trent’anni dopo, che in virtù di un decreto ministeriale del 1986 i vostri buoni postali sottoscritti prima di quella data hanno subito un taglio di oltre il 50% è una cosa che rischia di far venire un infarto. Eppure è quanto è successo a migliaia di persone, che si sono accorte del taglio solo al momento di riscuotere.
Effetti nefasti del decreto ministeriale del 13 giugno 1986 con il quale è stato deciso un taglio retroattivo dei tassi di interesse per una lunga serie di buoni postali fruttiferi. Il numero dei risparmiatori coinvolti purtroppo è difficile da stimare. Neanche Cassa depositi e prestiti dispone di un dato, né tantomeno è in grado di valutare il volume di risparmio coinvolto nel taglio retroattivo dei tassi in quanto “trattandosi di titoli cartacei emessi negli anni 80 e non completamente tracciabili e censiti nei sistemi informatici, non è possibile conoscere con accuratezza il dato richiesto”.
Il taglio retroattivo di Craxi
Conviene riavvolgere il nastro della storia per capirne i contorni. Siamo nel periodo del secondo governo Craxi, al ministero del Tesoro siede Giovanni Goria mentre Antonio Gava è il ministro delle Poste e Telecomunicazioni. Per contenere il debito pubblico e l’inflazione galoppante, il governo decide di tagliare in modo retroattivo il rendimento di alcune serie di buoni postali. Dal primo luglio del 1986, per effetto di un decreto ministeriale del 13 giugno firmato da Gava e Goria, i buoni ordinari delle serie M, N, O, P e i buoni a termine AA e AB, sottoscritti a partire dal 1983, subiscono una “modificazione dei tassi di interesse”: differente a seconda della serie ma sempre peggiorativa rispetto alle condizioni originarie sottoscritte dai risparmiatori e stampate nella parte posteriore del titolo.
I possessori dei buoni furono avvertiti? E in che modo? I sottoscrittori sostengono sempre di non essere stati informati. Di sicuro oltre alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto – ma quanti risparmiatori la leggono? – non sono emerse altre testimonianze documentali di una comunicazione puntuale da parte delle Poste ai sottoscrittori dei famigerati buoni.
Niente più tagli retroattivi
Dal 2000, andando in pensione il vecchio Codice postale del 1973, non è più possibile variare retroattivamente i tassi. Tuttavia le nuove norme non hanno impedito che alla scadenza trentennale dei buoni ordinari gli ignari possessori abbiamo subito il taglio netto delle somme da riscuotere.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
I buoni trentennali sono cominciati a scadere nel 2013 e di fronte alle richieste dei risparmiatori di una liquidazione del titolo alle condizioni originarie del buono, le Poste hanno opposto un muro. Non sono mancati ricorsi all’Abf, l’Arbitro bancario e finanziario, e azioni legali e associazioni dei consumatori come Federconsumatori e Codici stanno ancora assistendo centinaia di utenti. Tuttavia Poste Italiane resta ferma sulle sue posizioni: nessun rimborso.
Qualche vuona notizia è già arrivata dai tribunali. Lo scorso ottobre, per esempio, il Tribunale di Savona ha dato ragione a un anziano che nel 1983 aveva investito un milione di lire e ora chiede i 16mila euro che gli spettano in base agli interessi stampati sul buono. Le Poste, disponibili a pagare 8mila euro, hanno fatto ricorso in appello.
I problemi continuano
Ma le sorprese non sono finite lì, purtroppo. Anche per chi ha sottoscritto i buoni dopo il 2000 i problemi non sono mancati. L’Arbitro Bancario Finanziario, per esempio, ha in questi giorni accolto il ricorso presentato da due risparmiatori, assistiti dallo sportello del Movimento difesa del Cittadino di Perugia. I due avevano sottoscritto su indicazione di un intermediario, nel 2001, tre buoni postali fruttiferi del valore di 1 milione di lire ciascuno per i quali avrebbero dovuto riscuotere, secondo le condizioni indicate sul retro dei buoni, il triplo della somma.
Peccato però che questi buoni postali siano stati emessi con la serie “AF” indicata nel retro che prevede un certo rendimento, e che l’emissione sia successiva al decreto del 19 dicembre 2000 che ha come oggetto una serie nominalmente diversa che è la “AA1” con un rendimento differente. Quindi coloro che hanno sottoscritto quei buoni postali lo hanno fatto aspettandosi di riscuotere l’importo, secondo quanto indicato nel retro del titolo. E quello dovranno ricevere, ha stabilito l’Abf.