La Corte Ue: no all’alga che apporta il calcio al latte vegetale bio. Ma i produttori insorgono

Secondo la Corte di giustizia Ue utilizzare un’alga per aggiungere del calcio al latte vegetale bio è scorretto. Una sentenza che però mette in agitazioni i tanti produttori europei che lo fanno da anni, forti anche del fatto, che l’alga rossa corallina Lithothamnium calcareum è regolarmente registrata come alimento, e che temono grosse perdite sia in termini di fatturato che di posti di lavoro.

Il ricorso tedesco

Ma partiamo dalla sentenza. L’impresa tedesca Natumi produce bevande a base di soia e di riso (comunemente chiamate “latte”), incorporando l’alga rossa corallina Lithothamnium calcareum, sotto forma di polvere ottenuta da sedimenti di questa alga essiccata puliti, macinati ed essiccati. L’alga contiene principalmente carbonato di calcio e carbonato di magnesio. La Natumi commercializza, in particolare, una bevanda denominata «SojaDrink-Calcium», che reca l’etichettatura «bio» e le indicazioni seguenti: «con calcio», «con alga marina ricca di calcio» e «con calcio di alta qualità derivato dall’alga marina Lithothamnium». Il Land della Renania settentrionale-Vestfalia (Land Nordrhein-Westfalen, Germania) ha avviato un procedimento diretto all’irrogazione di una sanzione pecuniaria alla Natumi, per il fatto che l’impiego di carbonato di calcio, quale minerale, per l’arricchimento in calcio dei prodotti biologici è vietato, e ciò – a suo avviso- anche nel caso in cui l’arricchimento sia realizzato mediante l’aggiunta di alghe. Il tribunale tedesco si rivolge alla Corte Ue che si oppone all’uitlizzo di “una polvere ottenuta a partire da sedimenti dell’alga Lithothamnium calcareum puliti, essiccati e macinati, in quanto ingrediente non biologico di origine agricola, nella trasformazione di alimenti biologici quali le bevande biologiche a base di soia e di riso, ai fini del loro arricchimento in calcio”.  Infatti, l’uso di un ingrediente non biologico di origine agricola negli alimenti biologici è autorizzato solo qualora ricorrano determinate condizioni, segnatamente, l’impossibilità, senza ricorrere a tale ingrediente, di produrre o di conservare tali alimenti o di rispettare requisiti dietetici previsti sulla base della normativa dell’Unione.

La protesta del mondo bio

“La sentenza della Corte Ue è davvero poco comprensibile- spiega Roberto Pinton, che con il gruppo europeo delle industrie di trasformazione bio sta seguendo la questione – l’alga in questione viene usata da trent’anni con l’autorizzazione da parte degli organismi di controllo e delle diverse autorità competenti ed è a tutti gli effetti un alimento. Oltretutto, il Lithothamnium calcareum viene raccolto nei mari intorno all’Islanda dove cresce abbondante, e per l’uso che ne fanno i produttori bio di bevande ne serve pochissimo, quindi l’impatto ambientale è trascurabile, al contrario di quanto accade, per esempio, per le alghe raccolte per essere utilizzate nella produzione di fertilizzanti, ammendanti e correttori  in campo agricolo. L’alga, regolarmente indicata in etichetta, viene usata dai produttori di bevande vegetali perché per molti consumatori è importante che ci sia un apporto di calcio. I colleghi dei Paesi scandinavi ci riferiscono che quando qualche impresa biologica ha provato a eliminare l’alga dalla ricetta i consumatori si sono spostati immediatamente sulla bevanda di soia convenzionale addizionata con calcio minerale”.

Pinton aggiunge: “Il fatto è che dal gennaio 2022 si applicherà il nuovo regolamento che permetterà l’uso di questa e di ogni altra alga spontanea, di cui sarà possibile la raccolta certificata. Chiederemo alla Commissione Ue di arrivare fino a dicembre di quest’anno, evitando ai produttori il non sense ecologico di dover buttare via tutti gli imballaggi già stampati sulla base di autorizzazione delle autorità nazionali e evitando gli inevitabili contenzioni che da ciò nascerebbero. Se la sentenza della Corte Ue venisse applicata subito, solo in Italia sono a rischio 50 posti di lavoro e 25 milioni di fatturato”.