Nelle Rsa troppi farmaci e pillole spezzate: il rischio nascosto delle terapie agli anziani

FARMACI PILLOLE SPEZZATE

Nelle Rsa gli anziani assumono troppi farmaci, spesso spezzati o triturati. Un’indagine Sigg rivela interazioni pericolose, pratiche inappropriate e rischi per pazienti e operatori, chiedendo linee guida nazionali aggiornate nelle strutture assistenziali italiane per anziani

Nelle residenze sanitarie assistenziali gli anziani assumono in media otto farmaci al giorno. Un’esposizione farmacologica elevata che, secondo le stime della Società italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), espone il 42% degli ospiti ad almeno un’interazione pericolosa tra medicinali, con situazioni che possono arrivare fino a sette interferenze contemporanee. Un dato che fotografa una criticità strutturale nella gestione delle terapie nelle Rsa italiane.

A complicare ulteriormente il quadro c’è un problema spesso sottovalutato: la difficoltà di deglutizione. Pillole, capsule e compresse hanno dimensioni che non di rado rendono l’assunzione problematica per persone molto anziane e fragili. Per questo, nelle Rsa è diventata prassi comune dividere o triturare i farmaci: accade a una compressa su tre, mentre una capsula su quattro viene aperta per essere somministrata “porzionata”, spesso mescolata o nascosta in cibi e bevande.

Una soluzione apparentemente semplice, ma non sempre sicura. Secondo Dario Leosco, ordinario di Geriatria all’Università Federico II di Napoli e presidente della Sigg, e Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e ideatore dello studio, nel 13% dei casi si tratta di pratiche inappropriate: il 5% riguarda le compresse e l’8% le capsule. Con conseguenze potenzialmente rilevanti sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci.

Sono i risultati preliminari della prima indagine nazionale dedicata a valutare l’appropriatezza delle prescrizioni e delle modalità di somministrazione dei farmaci nelle Rsa, appena pubblicati sulla rivista Aging Clinical and Experimental Research. Lo studio ha coinvolto 3.400 anziani residenti in 82 strutture di 12 Regioni italiane, rappresentative dell’intero territorio nazionale, ed è stato condotto dalla Sigg in collaborazione con la Fondazione Anaste Humanitas.

“La gestione del farmaco è un processo complesso, che diventa cruciale soprattutto nelle Rsa, dove gli ospiti sono generalmente più anziani, più fragili e con più malattie croniche rispetto agli anziani che vivono al di fuori di strutture residenziali”, spiega Alba Malara, presidente di Anaste Humanitas a Rif day, il portale di informazione per i farmacisti. L’età media degli ospiti coinvolti nello studio è di 85 anni, il 70% sono donne e quasi tutti convivono con quattro o cinque patologie croniche. Oltre la metà ha una diagnosi di demenza e, in molti casi, dipende dall’assistenza per la maggior parte delle attività della vita quotidiana.

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Questo livello di complessità clinica si traduce in un numero elevato di prescrizioni: su circa 24mila terapie registrate, quasi 17mila sono pillole, con un ricorso prevalente a farmaci cardiovascolari, psicofarmaci e gastroprotettori. È proprio l’uso combinato di più psicofarmaci a rappresentare l’interazione pericolosa più diffusa, con un aumento del rischio di cadute e un possibile peggioramento dello stato cognitivo, soprattutto nei pazienti con demenza.

Ma la pratica del frazionamento dei farmaci apre anche altri fronti critici. La frantumazione delle compresse e la gestione delle polveri, spesso senza l’uso di guanti o mascherine, espongono infermieri e caregiver al rischio di allergie e intossicazioni per contatto o inalazione, in particolare nel caso di farmaci citotossici. Anche la somministrazione “mascherata” nei cibi o nelle bevande non è priva di conseguenze: può alterare l’assorbimento e il metabolismo dei medicinali, ridurne l’efficacia o aumentarne la tossicità.

Secondo Ungar, l’indagine mette in luce un vuoto importante: le raccomandazioni attualmente disponibili per la gestione della terapia orale, come le cosiddette Do not crush list, non sono univoche né aggiornate. Una lacuna che, in assenza di riferimenti chiari e condivisi a livello nazionale, lascia spazio a decisioni discrezionali e aumenta il rischio di errori legati alla manipolazione inappropriata dei farmaci.