
Risonanze, questionari e due anni di monitoraggio: così gli scienziati hanno seguito la generazione “sempre connessa” scoprendo che chi passa più tempo di fronte a uno schermo tra 9 e 10 anni ha più probabilità già dopo 2 anni di sviluppare ADHD
Sempre più bambini trascorrono ore davanti a smartphone, tablet, videogiochi e televisori. Non è solo una questione di tempo “sprecato”: secondo un nuovo studio giapponese, pubblicato nell’ambito di una delle più vaste ricerche internazionali sullo sviluppo infantile, un’esposizione prolungata agli schermi sarebbe associata a maggiori problemi di attenzione e a cambiamenti misurabili nella struttura del cervello.
Un’indagine su oltre diecimila bambini
I ricercatori dell’Università di Fukui hanno analizzato i dati di oltre diecimila bambini di 9-10 anni, seguiti per due anni e sottoposti a questionari sul tempo passato davanti agli schermi, valutazioni comportamentali e risonanze magnetiche cerebrali. È la prima ricerca a lungo termine che mette insieme in un’unica analisi abitudini digitali, sintomi di ADHD e sviluppo del cervello.
Il quadro emerso è chiaro: più lungo è il tempo trascorso davanti agli schermi, più probabile è trovare sintomi di disattenzione e iperattività. Non solo. I bambini più “connessi” mostrano anche caratteristiche cerebrali differenti rispetto ai coetanei con abitudini digitali più moderate.
Cosa succede nel cervello
Gli studiosi hanno osservato che i bambini che usano maggiormente i dispositivi digitali tendono ad avere un volume corticale complessivo leggermente più ridotto. La corteccia è la parte del cervello che sovraintende alle funzioni cognitive superiori – attenzione, memoria di lavoro, capacità di pianificazione – e una sua minor espansione potrebbe tradursi in vulnerabilità cognitive.
Un’altra area coinvolta è il putamen destro, una regione legata all’apprendimento del linguaggio, ai circuiti della ricompensa e alla regolazione delle abitudini. Anche qui, un uso più intenso degli schermi è risultato associato a dimensioni leggermente inferiori.
Nel follow-up a due anni, i bambini che continuavano a trascorrere molto tempo davanti ai dispositivi mostravano uno sviluppo meno marcato in alcune regioni frontali e temporali, indispensabili per mantenere l’attenzione, comprendere il linguaggio e gestire la memoria di lavoro.
Effetti reali, ma non allarmistici
Gli esperti invitano alla prudenza: lo studio non dimostra che gli schermi causino direttamente l’ADHD o cambiamenti permanenti nel cervello. Le differenze osservate sono infatti modeste, e i sintomi dell’ADHD dipendono da un insieme complesso di fattori genetici, ambientali e familiari.
Ma il segnale è comunque importante. In un’età in cui il cervello si sviluppa rapidamente, un uso eccessivo e prolungato dei dispositivi digitali potrebbe interferire con processi delicati e influenzare la traiettoria evolutiva dell’attenzione.
Cosa significa per i genitori
Il messaggio non è vietare gli schermi – compagni ormai inevitabili della quotidianità – ma farne un uso più consapevole, soprattutto tra i 9 e i 12 anni, una fase chiave per lo sviluppo cognitivo.
Ecco alcune indicazioni pratiche:
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evitare che lo schermo diventi l’unica attività del tempo libero
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favorire momenti senza dispositivi, soprattutto prima di dormire
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promuovere attività fisiche, gioco libero, lettura e socialità reale
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monitorare i segnali di disattenzione, impulsività o difficoltà scolastiche
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alternare contenuti passivi (tv) ad attività digitali più interattive ma comunque controllate.









