Riparare, non buttare: perché la nuova etichetta sugli smartphone non mette fine all’usa e getta

PUNTEGGIO DI RIPARABILITA'

Da giugno sulle etichette di smartphone e tablet compare per la prima volta il punteggio di riparabilità. Ma tra costi alti e design blindati, la possibilità di scegliere un telefono da non buttare dopo pochi anni è appena all’inizio

Da pochi giorni chi acquista uno smartphone o un tablet in Europa trova, accanto al consumo energetico e alla durata della batteria e alla resistenza alla caduta (da un metro), una nuova informazione destinata a cambiare il mercato: il punteggio di riparabilità.

L’idea nasce all’interno della Commissione Europea, precisamente dal Joint Research Centre (JRC) — il servizio scientifico e tecnico della Commissione — e porta tra le sue firme quella di Christoforos Spiliotopoulos, ricercatore del JRC.
Spiliotopoulos ha raccontato in dettaglio genesi e obiettivi di questo strumento in un articolo pubblicato in questi giorni su The Conversation, offrendo un raro sguardo “da dentro” su come è nato e come funziona questo progetto.

Il cambio di rotta

Negli ultimi dieci anni, il mercato europeo dell’elettronica è esploso: da 7,6 milioni di tonnellate di dispositivi venduti nel 2012 si è arrivati a 14,4 milioni nel 2022. Ma solo una minima parte dei rifiuti elettronici generati viene recuperata: nel 2022, appena 4 milioni di tonnellate sono state riciclate o preparate per il riutilizzo.

Un modello insostenibile, che consuma risorse, produce CO₂ e lascia i consumatori senza alternative.
Da qui, l’idea del JRC e della Commissione: introdurre un indicatore di riparabilità per spingere i produttori verso design più sostenibili e informare chi compra.

Come spiega Spiliotopoulos, l’obiettivo è “aiutare i consumatori a compiere scelte più sostenibili e costruire un’economia più circolare”, riducendo sprechi e costi.

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Da “usa e getta” a “ripara e riusa”

Fino al 2011 la maggior parte dei telefoni aveva batterie sostituibili. Poi la tendenza si è invertita. Secondo un’analisi del Fraunhofer Institute per la Commissione europea, nel 2020 i modelli con batteria removibile erano ormai una rarità.
Una scelta di design che ha reso sempre più difficile la riparazione, alimentando il ciclo continuo di acquisti e rifiuti.

L’Unione Europea vuole invertire questa logica: passare da un’economia lineare (estrai, produci, butta) a una circolare, dove riparare e riutilizzare diventa la norma.

Come funziona il nuovo punteggio

I punteggi di riparabilità — una scala da A (facile da riparare) a E (difficile) — sono entrati in vigore il 20 giugno 2025.
Compaiono sull’etichetta energetica accanto a:

  • durata della batteria,

  • resistenza a polvere e acqua (indice IP),

  • e ora anche riparabilità.

Parallelamente, i nuovi regolamenti di ecodesign impongono che i prodotti sul mercato europeo rispettino requisiti minimi: durata, accesso ai pezzi di ricambio, disponibilità di aggiornamenti software e manuali di riparazione per tecnici e consumatori.

Come si misura la riparabilità

Il metodo ideato racconta su the Conversation Spiliotopoulos valuta due dimensioni: cosa si rompe e quanto è facile ripararlo.

  1. Le parti prioritarie
    Batterie e schermi sono i componenti più soggetti a guasti e più importanti per l’uso quotidiano. La loro sostituibilità pesa di più nel punteggio.
    Vengono considerati anche fotocamere, porte, microfoni e altoparlanti.

  2. I parametri di riparabilità

    • Fisici, legati al design: tipo di viti o adesivi usati, strumenti necessari, numero di passaggi per accedere al componente.

    • Di servizio, legati al produttore: disponibilità e prezzo dei pezzi di ricambio, istruzioni di smontaggio, durata degli aggiornamenti software.

L’insieme di questi elementi genera un punteggio aggregato: il “voto di riparabilità” che sta comparendo sulle etichette dei dispositivi. Per ora questa caratteristica reperibile sulle informazion tecniche del prodotto non sembra ancora aver prodotto qualche cambiamento nella politica dei produttori. Basta qualche esempio dei modelli più cercati sul mercato per rendersi conto di come i brand siano ancora posizionati su una riparabilità a ostacoli: l’iPhone 16 di Apple riporta una classe di riparabilità C, così come il Samsung Galaxy S25 così come lo Xiaomi 15 T Pro.

Le promesse: meno sprechi, più risparmio

Secondo il rapporto Ecodesign Impact Accounting Overview 2024, l’introduzione delle nuove norme dovrebbe comunque far risparmiare ai cittadini europei 20 miliardi di euro l’anno e ridurre di 0,2 megatonnellate di CO₂ equivalenti le emissioni entro il 2030.

Ma i benefici non sono solo ambientali, per il JRC:

  • i consumatori potranno riparare invece di sostituire;

  • i produttori avranno un incentivo competitivo a progettare dispositivi durevoli;

  • e i riparatori indipendenti potranno accedere a manuali e parti, rivitalizzando un settore artigiano in declino.

Più riparabili ma a quali costi?

Non mancano però le criticità. Come ricordano anche le associazioni europee per il diritto alla riparazione, tra cui Repair.eu, alcuni punti restano aperti:

  • i prezzi dei pezzi di ricambio potrebbero restare alti, rendendo antieconomica la riparazione;

  • solo un numero limitato di componenti sarà accessibile direttamente agli utenti;

  • pratiche come il software pairing (che blocca componenti non originali) potrebbero continuare;

  • e il controllo sull’applicazione reale delle norme rischia di essere debole nei primi mesi.

Sul primo punto, chiunque di noi abbia un po’ di esperienza avrà certamente più di un esempio del peso sull’opzione tra gettare e riparare. Facciamo però qualche esempio significativo.

Cambiare un display attravero Apple di un iPhone 13 costa poco più di 310 euro (quanto l’acquisto di un modello ricondizionato), per un Samsung Galaxy S23 che ricondizionato si trova a circa 380 euro può arrivare a 300 euro. Una batteria originale, in entrambi i casi, costa circa 100 euro.