
Il test di agosto del Salvagente ha rilevato due Pfas e diversi pesticidi in 14 cole, aranciate, gassose e tè freddi industriali. Ma altre ricerche hanno scoperto gli “inquinanti per sempre” in acque minerali, vino, birre…
Le sostanze perfluoroalchiliche, dette inquinanti per sempre, connesse a diverse patologie, sono ormai onnipresenti nell’ambiente e nei prodotti agroalimentari di consumo quotidiano. Diversi studi e test di laboratorio le hanno rilevate anche in alcune bevande.
Soft drink
Nel numero di agosto, Il Salvagente pubblica i risultati dei test di laboratorio in cui su 14 campioni di soft drink, ben 7 riportano tracce di Pfas. Sono due le sostanze rilevate: Pfhxa (acido perfluoroesanoico) e Pfms (acido trifluorometansolfonico).
Nel 2023, una class action negli Stati Uniti era stata avviata dopo che nei succhi Simply Tropical Fruit Juice della Coca-Cola, in indagini indipendenti, erano stati trovati Pfas nonostante il succo fosse pubblicizzato come “naturale”. Il giudice respinse la richiesta per lacune nella procedura dell’accusa.
Il Salvagente ha voluto verificare se qualcosa sia cambiato dopo le denunce dei consumatori nord americani e ha portato in laboratorio 14 campioni di soft drink acquistati nei supermercati italiani, alla ricerca proprio di questi contaminanti: tutti i risultati sono pubblicati nel nuovo numero in edicola e in digitale o cartaceo da ricevere a casa (acquista qui).
Ci siamo concentrati su 4 categorie: bevande all’arancia, al limone, tè freddi e cole. Le marche coinvolte sono:
Sprite, Coca-Cola, Pepsi, Schweppes, Oransoda, San Benedetto allegra, Sanpellegrino, Fanta, Lurisia, Fuze tea, Estathè, Sant’Anna Tè, san benedetto thè e San Bernardo tè
Due tipi di Pfas sono stati ritrovati in 7 campioni: si tratta del Pfms e del PfhxA, quest’ultimo peraltro vietato in prodotti tessili e cosmetici nella Ue a partire dal 2026. Non c’è da allarmarsi comunque perché, come ci spiega Carlo Foresta, professore ordinario di endocrinologia presso la Scuola di medicina di Padova, nonché uno dei massimi esperti di Pfas a livello internazionale, “le due sostanze sono presenti in quantità più basse di centinaia di volte rispetto ai limiti ritenuti sicuri per le acque potabili, a cui possiamo riferirci, dunque non siamo davanti a un dato preoccupante”.
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Non solo Pfas, il caso delle aranciate
Per quanto riguarda i pesticidi, invece, la situazione è un po’ diversa: partiamo da quello che i laboratori hanno trovato: residui di 4 sostanze differenti (imazalil, pyrimethanil, spirotetramat, nella forma di due suoi metaboliti, e fludioxonil) in 5 campioni, tutti di bevande all’arancia. Tra queste, il pyrimethanil rientra tra le sostanze sospette tossiche e mutagene e lo spirotetramat, sospettato di nuocere alla fertilità e al feto, sarà vietato nella Ue dal 30 ottobre 2025.
Nel caso dei pesticidi, quanto sono alti i livelli dei residui ritrovati nei campioni? Per questa domanda non c’è una risposta netta, almeno dal punto di vista normativo. Nessuna direttiva Ue, né tantomeno alcuna disposizione italiana prevedono dei limiti massimi di presenze di pesticidi nei soft drink. Abbiamo per tanto deciso di prendere come riferimento la normativa che recepisce la direttiva Ue 2020/2184, secondo cui per i pesticidi e i loro metaboliti, i limiti accettabili sono di 0,1 μg/l (microgrammi per litro) per singola sostanza e 0,5 μg/l per la somma totale delle sostanze attive presenti, sia per le acque superficiali che per quelle destinate al consumo umano. Se queste soglie fossero estese ai campioni di bevande zuccherate da noi analizzati, tutti sarebbero fuorilegge. È chiaro che i limiti per le acque potabili sono pensati per una bevanda essenziale per l’organismo umano, destinata a un consumo quotidiano ben superiore a un’aranciata o a una cola, ma in assenza di riferimenti chiari per i soft drink, abbiamo voluto prendere come riferimento la soglia più cautelativa.
E nelle altre bevande?
Come anticipato, quello del Salvagente non è l’unico studio che denuncia la presenza di Pfas in ciò che beviamo. Vediamo di passare in rassegna le ultime ricerche indipendenti.
Acqua minerale
Le ultime rilevazioni di Pfas nell’acqua minerale risalgono alla scorsa primavera. Due test in Svizzera e Italia trovano contaminazioni in molte bottiglie. K-tipp ha analizzato 15 diverse marche di acqua minerale naturale, 13 delle quali svizzere e 2 francesi, scoprendo che quasi tutte contenevano tracce di Tfa (un prodotto di degradazione dei Pfas).
Le uniche eccezioni, risultate prive di contaminazione, sono state Evian, Vittel e le acque delle sorgenti Cristallo e Saguaro nel canton Soletta, vendute da Aldi e Lidl. In Italia, Altroconsumo ha rilevato “livelli eccessivi” di Tfa nelle acque Panna, Esselunga Ulmeta, Maniva, Saguaro (Lidl) e Levissima.
Vino
L’acido trifluoroacetico (Tfa) è stato trovato anche all’interno del vino. Secondo il rapporto Message from the bottle, pubblicato ad aprile dalla rete Pan Europe, 45 su 49 vini analizzati provenienti da 10 paesi Ue, tra cui Francia, Germania, Spagna, Svezia, Croazia, Austria e Italia, erano contaminati.
L’indagine in alcuni casi ha rilevato livelli di contaminazione addirittura 100 volte superiori a quelli riscontrati nell’acqua potabile. I campioni, che coprono un arco temporale che va dal 1974 al 2024, hanno permesso di rilevare una crescita esponenziale della contaminazione da Tfa negli ultimi 15 anni all’interno delle bottiglie.
Birra
Ricercatori statunitensi a maggio 2025 hanno pubblicato un articolo su Environmental Science & Technology, con i risultati di test su birre prodotte in diverse aree degli Stati Uniti. È stato scoperto che quelle prodotte in alcune zone del Paese con fonti d’acqua notoriamente contaminate da Pfas presentavano i livelli più elevati degli inquinanti per sempre.
In generale, le sostanze perfluoroalchiliche sono state rilevate nel 95% delle birre testate. Tra queste, Pfos e Pfoa, vietati nella Ue per la loro tossicità.
Tè
Uno studio, finanziato in parte dal National Institutes of Health e condotto da ricercatori della Keck School of Medicine della USC, nel febbraio 2024, ha messo in connessione Pfas e consumo di tè. I ricercatori hanno studiato due gruppi di giovani adulti, uno rappresentativo a livello nazionale e uno prevalentemente ispanico.
Hanno scoperto che un maggiore consumo di tè freddo era associato a un aumento proporzionale dei livelli di Pfas nell’organismo nel tempo. Tra le sostanze trovate: Pfhxs, Pfhps e Pfna.










