
Plastificanti negli alimenti: lo studio spagnolo che allerta sull’esposizione quotidiana. Presenti in otto prodotti su dieci, superano i limiti di sicurezza nei bambini: lo studio dell’IDAEA-CSIC invita l’Europa a rivedere le regole
Ci sono anche le confezioni in vetro tra i contenitori che possono rilasciare plastificanti negli alimenti. A dirlo è uno studio spagnolo pubblicato sul Journal of Hazardous Materials e condotto dall’Istituto di Diagnosi Ambientale e Studi sull’Acqua (IDAEA-CSIC), che ha analizzato 109 alimenti rappresentativi della dieta spagnola – e dunque molto vicini anche a quella italiana.
I risultati? Preoccupanti: l’85% dei campioni conteneva almeno un additivo legato alla plastica, con i plastificanti alternativi (usati per sostituire quelli più noti come i ftalati) in testa alla classifica. E se è vero che in media l’esposizione giornaliera per gli adulti resta al di sotto dei limiti di sicurezza stabiliti dall’EFSA, per neonati e bambini piccoli il discorso cambia: due composti superano i limiti e altri tre si avvicinano pericolosamente.
I numeri dell’esposizione: dai neonati agli adulti
I ricercatori hanno calcolato un’esposizione media giornaliera di 288 nanogrammi per chilo di peso corporeo negli adulti, con la carne come prima fonte (59%), seguita da cereali, legumi e dolci. Ma nei neonati si arriva a 2262 ng/kg e nei bambini da 1 a 3 anni a 1155 ng/kg. In questi casi, i livelli di due composti – DEHP (un ftalato vietato in molti prodotti per l’infanzia) e EHDPP (un ritardante di fiamma) – superano le soglie di sicurezza.
Il problema? Come spiega Ethel Eljarrat, direttrice dell’IDAEA, “Anche se la normativa è rispettata, questi composti hanno effetti nocivi già noti e sarebbe necessario introdurre limiti più severi”.
Non solo plastica: anche il vetro può essere un problema
Il dato forse più sorprendente riguarda i contenitori. Se da anni si punta il dito contro le plastiche a contatto con gli alimenti, lo studio mostra che anche i barattoli di vetro possono rilasciare plastificanti, probabilmente attraverso i rivestimenti polimerici dei coperchi metallici. In tutto sono stati identificati 20 plastificanti diversi, con variazioni a seconda della categoria alimentare e della marca.
Anche i piatti pronti confezionati in polipropilene sono finiti sotto la lente: la cottura in forno o microonde può aumentare fino a 50 volte la concentrazione di additivi nel cibo. Per questo i ricercatori raccomandano di non scaldare i cibi in questi contenitori, nonostante i livelli restino al di sotto dei limiti di migrazione previsti.
Norme inadeguate?
Attualmente, la normativa europea non fissa un limite massimo di additivi plastici negli alimenti, ma solo per la migrazione da materiali a contatto. Questo approccio, secondo i ricercatori, non tiene conto dell’esposizione reale a cui sono sottoposti i consumatori attraverso la dieta.
“È importante ricordare che l’alimentazione è solo una delle vie di esposizione,” avverte Eljarrat. “A questa si sommano inalazione, ingestione di polveri e contatto cutaneo. Ecco perché la valutazione del rischio dovrebbe essere più cautelativa.”
Serve un cambio di passo
La ricerca si inserisce nel progetto EXPOPLAS, finanziato dal Ministero spagnolo della Scienza, e rappresenta uno dei più ampi studi condotti su plasticizzanti vecchi e nuovi nel cibo quotidiano.
Per noi consumatori significa una sola cosa: fare attenzione non basta più. Serve che le istituzioni europee rivedano i limiti e includano anche i plastificanti alternativi, su cui ormai la scienza ha sollevato più di un sospetto.