Cloro in piscina, come usarlo senza rischi e quando è possibile l’alternativa naturale

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Il caso dell’intossicazione di 5 bambini in una piscina romana, che secondo le prime rilevazioni sarebbe riconducibile al cloro, richiama l’attenzione su questa sostanza utilizzata comunemente per disinfettare l’acqua. È importante sapere come usarla, e che in alcuni casi è possibile utilizzare un’alternativa naturale

 

In una piscina di un centro sportivo del quartiere della Borghesiana, a Roma, 5 bambini si sono sentiti male, e uno di loro è ricoverato in terapia intensiva. Dalle prime rilevazioni la causa potrebbe essere una intossicazione da cloro.

I rischi connessi all’utilizzo sbagliato del cloro

Già in occasione di un incidente dello scorso anno a Guastella di Reggio Emilia, la società italiana di Medicina Ambientale (Sima) era intervenuta dicendo che si trattava solo  dell’ultimo di “una serie di gravi episodi che si stanno verificando con sempre più frequenza nelle piscine italiane, e che mettono a rischio la salute dei cittadini”. “I prodotti chimici normalmente utilizzati per la disinfezione delle acque (ad esempio ipoclorito di sodio e di calcio, acido solforico, acido tricloroisocianurico) sono classificati come pericolosi perché in gran parte corrosivi”, spiegava il presidente della Sima Alessandro Miani. “Nel caso in cui ipocloriti vengano a contatto con i correttori di acidità (acido solforico, cloridrico, eccetera) possono liberare cloro gassoso, gas tossico per inalazione responsabile di intossicazioni acute anche molto gravi”.

Come va usato il cloro in piscina

Dunque, per quanto concerne le piscine classiche il cloro come va usato? Innanzitutto perché funzioni va impiegato con regolarità in quantità specifiche in base alle dimensioni della piscina e al periodo. All’inizio di ogni stagione balneare (e a ogni nuovo riempimento di vasca) si deve effettuare il processo di superclorazione, un “trattamento d’urto” molto potente a base di dicloro, ricordandosi di non potersi immergere in acqua per almeno 2 o 3 giorni dopo averlo effettuato. Dopo di che per la manutenzione ordinaria si utilizzano delle pastiglie di tricloro da 200 o 500 grammi a lento scioglimento (3-5 giorni) che si mettono in uno specifico dosatore galleggiante o nel serbatoio detto skimmer o in una vasca di compenso ma comunque mai direttamente in piscina. Il cloro a contatto con l’acqua sviluppa l’acido ipocloroso che attacca e distrugge i microrganismi nocivi. Il dosaggio è fondamentale in quanto se ce n’è poco non riesce a contrastare lo sviluppo della flora batterica mentre se ce n’è troppo risulta fastidioso e potrebbe anche scolorire costumi e attrezzature. Il suo livello va sempre misurato con un kit apposito: il cloro libero nelle piscine deve essere tra 0,7 ppm (parti per milione) e 1,5 ppm. La quantità di cloro da immettere dipende dalle dimensioni della vasca, considerando che una pastiglia copre sui 25 metri cubi di acqua e che una piscina piccola di 8x4x1,2 metri ha un volume di 38 metri cubi, in questo esempio ne serviranno 2.

Cosa cambia l’estate

Poiché in estate l’acqua evapora rapidamente e aumenta la proliferazione batterica, il cloro va aggiunto con più frequenza. Non solo: il cloro, essendo un elemento instabile, si deteriora proprio a causa dei raggi ultravioletti e il suo effetto con il tempo si annulla completamente. Per questo se bisogna aggiungerlo almeno una volta a settimana quando non fa caldo, la “ricarica” va fatta più spesso nei periodi di maggior calore. Pur esistendo oggi anche sistemi automatici di controllo e dosaggio dei prodotti chimici, non tutte le piscine ne sono provviste. Ricordiamoci infine che più le piscine sono frequentate e meno dura il cloro per i motivi che leggiamo in queste pagine e che non tutte le pastiglie di cloro sono uguali: ce ne sono alcune a basso costo ma di scarsa qualità ed effetto: meglio acquistare quelle a marchio europeo che devono sottostare a rigidi controlli Ue.

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L’alternativa delle biopiscine

Ma esistono alternative che prevedano di non utilizzare il cloro? nel caso delle biopiscine ci si riesce poiché si usano alcune piante per filtrare e purificare l’acqua. Le piante acquatiche vengono selezionate per attuare il processo di fitodepurazione e messe a dimora in una sorta di laghetto artificiale distante dalla piscina e collegato alla vasca tramite un canale. Si tratta di piante palustri e floreali che producono ossigeno e lavorano in simbiosi con i batteri che vivono accanto alle loro radici, batteri in grado di degradare sostanze organiche inquinanti e microbi patogeni. Le piante acquatiche si nutrono delle sostanze di scarto dei batteri stessi chiudendo il cerchio. In questi laghetti autosufficienti non si formano alghe e la temperatura dell’acqua è tenuta sotto controllo dalle piante a foglie galleggianti, spesso ninfee. L’acqua di arrivo (in costante ricircolo) dunque, passando per questo laghetto, viene depurata e prosegue il suo viaggio lungo il canale appositamente creato per giungere in piscina, che sarà di acqua dolce inodore e non irritante per gli occhi. Una tecnologia che non si adatta a tutte le strutture esistenti, e che prevede un investimento e una manutenzione che potrebbe scoraggiare molti.