Cioccolato vegano: c’è da fidarsi?

CIOCCOLATO VEGAN

Le autorità pubbliche di controllo tedesche hanno analizzato 40 tavolette di cioccolato vegano: il 93% è risultato conforme agli standard. Ma i consumatori chiedono chiarezza sulle tracce di latte

Una buona notizia per chi ha scelto un’alimentazione vegana ma non intende rinunciare al piacere del cioccolato: secondo una recente indagine condotta nel 2024 dal laboratorio ufficiale CVUA di Stoccarda, il Chemisches und Veterinäruntersuchungsamt, ovvero Ufficio per gli esami chimici e veterinari, la stragrande maggioranza dei prodotti etichettati come “cioccolato vegano” rispetta i criteri definiti per legge. Su 40 tavolette analizzate, il 93% ha superato l’esame, contenendo al massimo tracce di origine animale ritenute tecnologicamente inevitabili.

Un risultato importante che promuove il cioccolato vegano, anche se non mancano le divergenze tra aspettative dei consumatori e definizione normativa di “vegano”.

Cosa vuol dire “vegano” davvero?

Secondo la definizione condivisa in Germania dal 2016 e ripresa nelle linee guida europee, un alimento è vegano se non contiene ingredienti di origine animale né coadiuvanti o additivi animali usati nella produzione. Tuttavia, è ammessa la presenza accidentale e inevitabile di tracce animali, purché queste derivino da contaminazioni tecnologicamente non evitabili, ad esempio durante la lavorazione in stabilimenti misti.

Questa soglia di tolleranza consente una produzione più sostenibile e accessibile, evitando la necessità di impianti separati e lo spreco di grandi quantità di cibo.

Latte? Solo in tracce (quasi sempre dichiarate)

L’analisi del CVUA si è concentrata sulla caseina, una proteina presente nel latte vaccino, per verificare eventuali contaminazioni nei prodotti dichiarati vegani. Su 40 tavolette:

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  • 6 campioni non presentavano alcuna traccia rilevabile;

  • 31 campioni contenevano solo tracce tecnologicamente inevitabili;

  • 3 campioni presentavano livelli più elevati, considerati evitabili, ma senza prove dell’uso diretto di ingredienti lattiero-caseari.

Anche in questi ultimi casi, il CVUA non ha parlato di frode, ma ha invitato le aziende a rafforzare il sistema di gestione degli allergeni, a garanzia sia dei consumatori vegani sia di chi soffre di allergie.

L’etichetta fa chiarezza

L’indicazione “può contenere tracce di latte” non è obbligatoria per legge, ma è fortemente raccomandata, soprattutto per ragioni di trasparenza. E i produttori sembrano aver recepito il messaggio: nel 2024 ben 39 cioccolati su 40 analizzati la riportavano, contro il 69% del triennio 2020–2023.

Consumatori poco informati

Un sondaggio parallelo realizzato dal CVUA su 269 persone rivela però che le aspettative dei consumatori sono spesso più rigide della normativa vigente:

  • Il 45% ritiene che un prodotto vegano non debba contenere alcuna traccia animale, nemmeno accidentale.

  • Solo il 19% sa che le tracce non sono escluse per definizione, anche in assenza di etichetta specifica.

Questa discrepanza evidenzia la necessità di maggior chiarezza da parte dei produttori, magari con etichette esplicative, e di educazione alimentare più diffusa per comprendere cosa si può ragionevolmente pretendere da un alimento vegano.

Cioccolato fondente? Spesso vegano, anche se non dichiarato

Altro dato interessante emerso: più della metà degli intervistati (55%) ritiene che un cioccolato fondente possa essere vegano anche senza etichettatura specifica. E in effetti molti fondenti con alta percentuale di cacao non contengono derivati del latte, anche se non vengono promossi come “vegani”. Controllare sempre la lista ingredienti rimane la mossa più efficace.

Una promozione con qualche appunto

In definitiva, il cioccolato vegano si dimostra un prodotto affidabile e conforme, con livelli di contaminazione che nella stragrande maggioranza dei casi sono minimi e accettabili. Il settore ha fatto passi avanti anche sul piano della trasparenza, con un quasi totale rispetto della prassi di segnalare le possibili tracce.