
La maggior parte dei marchi di caffè deca che troviamo in commercio utilizza un metodo naturale per eliminare la caffeina, ma c’è chi ancora ricorre a sostanze, come il diclorometano, classificate come possibili cancerogene
Nonostante l’Italia sia famosa in tutto il mondo per la tazzina di caffè, gli amanti della versione decaffeinata resteranno sorpresi nello scoprire che a inventare il primo espresso senza caffeina sia stato un tedesco. E magari nell’apprendere che nel procedimento di decaffeinizzazione sia utilizzato il diclorometano, molecola chimica che ha più di un sospetto di cancerogenicità.
“Mi serva un Hag”
Partiamo con ordine. Fino a qualche anno fa, infatti, per avere un caffè decaffeinato nei bar di tutta Italia bastava chiedere “un Hag”. Complice anche un’efficace campagna pubblicitaria, il nome Hag fu subito associato a un prodotto innovativo che ebbe un successo immediato. Uno dei primi spot televisivi, andati in onda sulle nostre reti, è rimasto per tanti anni nell’immaginario collettivo: un omino, in bianco e nero, con baffi e cappello di paglia, non riusciva a catturare un leone e finiva intrappolato nella sua stessa
rete. Alla fine la sua ombra gli diceva: “Ulisse, devi imparare a comportarti con calma, con la calma si arriva a tutto, anche a catturare i leoni. Segui il mio consiglio. Bevi solo caffè Hag”. E la voce dello speaker sciorinava lo slogan: “Caffè Hag, salva il cuore, consente il sonno, non agita i nervi”. Nel 1986 lo spot metteva in scena due giovani impiegate, una delle quali per convincere l’amica a bere Hag diceva: “Meglio buoni e quanti ne vuoi!” e l’amica rispondeva: “Ah, quanti Hag mi sono persa nella vita”. Negli anni 90 si è passati ad esaltare il sapore del caffè decaffeinato, con lo slogan “il gusto non ha bisogno di caffeina” per provare a liberare il prodotto dallo stigma di essere meno buono, quasi un ripiego per chi aveva problemi di salute o di insonnia.
L’uso dei solventi nel deca
Inizia così l’era del caffè decaffeinato, inventato dal chimico tedesco Ludwig Roselius, fondatore della Handels Aktien Gesellschaft, azienda di Brema, di cui Hag è appunto l’acronimo. La leggenda narra che intorno al 1905 Roselius, per non rendere troppo agitato il padre, che faceva l’assaggiatore di caffè, mise a punto il primo processo di riduzione della caffeina. Come per molte grandi scoperte, tutto avvenne in maniera casuale quando una partita di caffè entrò a contatto con l’acqua del mare durante il trasporto. I grani di caffè, lavorati e tostati come al solito, risultarono essere salati, ma privi di gran parte della caffeina; questo suggerì a Roselius di usare dei solventi, come il benzene, per rimuovere la caffeina dal caffè.
Nel corso degli anni, tutti i marchi di caffè hanno cominciato a produrre il decaffeinato,
minando così l’esclusiva Hag. Tanto che qualche anno fa, prima di compiere 100 anni, l’unico stabilimento italiano della società tedesca, destinato alla produzione del caffè Hag e successivamente del caffè Splendid, ha chiuso i battenti. Dal 1° gennaio 2019, infatti, il sito produttivo di Andezeno, vicino Torino, dove si producevano 5mila tonnellate di caffè decaffeinato all’anno, non è più operativo e la produzione è stata trasferita in altre fabbriche europee con il licenziamento di 57 dipendenti.
La questione diclorometano
Eppure questa variante di caffè viene scelta da un numero crescente di consumatori. Secondo dati Nielsen, che però escludono cialde e capsule, nel 2018 in Italia ne sono state consumate 5.560 tonnellate, pari al 5,8% del totale, per un valore di 54 milioni di euro. Non siamo riusciti a trovare informazioni più aggiornate sul consumo di caffè decaffeinato
in Italia e nel mondo (le statistiche non sono reperibili), ma si stima un aumento costante anche perché a berlo non è solo chi ha specifici problemi di salute, ma anche chi è attento al benessere e vuole ottenere i benefici della bevanda, senza gli svantaggi della caffeina. Sono sempre più numerosi gli studi scientifici che associano il consumo di caffè, incluso quello decaffeinato, a un minor rischio di morte per diverse malattie. Il più recente è uno studio dell’Inhance Consortium, secondo cui un consumo pari o superiore a 4 tazzine al giorno sembra essere in grado di diminuire le probabilità di sviluppare tumori alla bocca, alla faringe, alla laringe ed ai seni paranasali. E questo vale tanto per il caffè normale quanto per la versione deca.
La nota dolente, su cui vuole fare luce la “prova” del Salvagente di aprile, sono proprio i solventi utilizzati dall’industria per eliminare la caffeina. Negli anni si sono rivelati pericolosi per la salute e si sono cercate delle alternative più naturali; la stessa Hag è stata la prima azienda a utilizzare l’anidride carbonica che, in determinate condizioni di temperatura e pressione, è in grado di catturare ed estrarre la caffeina dai chicchi, lasciando piuttosto inalterato il gusto del caffè. Ma non tutte le aziende hanno fatto questa scelta. Nel giornale abbiamo stilato la lista dei marchi di caffè che dichiarano il metodo di decaffeinizzazione e di chi, invece, non lo dichiara (perché ha qualcosa da nascondere).
Qui anticipiamo quest’ultima tabella, la lista dei marchi che garantiscono di non utilizzare il diclorometano la trovate nel numero in edicola.
Meglio il naturale
Quello che realmente ci preoccupa quando ci troviamo di fronte all’utilizzo, da parte dell’industria, di sostanze dichiarate cancerogene, è sempre il rischio di un’esposizione multipla visto che le normative fissano limiti massimi per le singole sostanze e non fanno mai riferimento a una valutazione complessiva. E non considerano che i solventi hanno un’elevata capacità lipofila, quindi possono accumularsi facilmente nel grasso del nostro corpo. Come ci ha spiegato Luca Campisi, professore di Tossicologia alimentare all’Università di Pisa, “anche piccole quantità residue di diclorometano possono accumularsi nel corpo se il caffè decaffeinato viene consumato regolarmente”. Agli amanti del deca Campisi consiglia di “ridurre il caffè decaffeinato con solventi chimici, che possono lasciare residui potenzialmente nocivi nei chicchi”. Anche perché “solventi come il cloruro di metilene, nonostante la loro efficacia nella rimozione della caffeina, possono compromettere la purezza del caffè e alterarne il gusto naturale”.
Con il tecnologo esperto in Sistemi di gestione della qualità e della sicurezza alimentare, Paolo Manco, abbiamo approfondito altri aspetti legati all’uso di questi solventi chimici da parte dell’industria alimentare. A cominciare dalla motivazione che spinge un’azienda a questa scelta. “Di certo – dichiara Manco – chi utilizza il diclorometano per decaffeinare il caffè lo fa per una ragione meramente economica, visto che ad oggi quello con i solventi chimici è il metodo più veloce e con i costi più bassi. Tuttavia la ricerca tecnologica ha fatto passi avanti ed è arrivata a standardizzare un processo che elimina gran parte della caffeina, utilizzando l’anidride carbonica ad una determinata pressione, evitando che sul prodotto finale possano esserci residui di sostanze dannose. Ma si tratta di una tecnologia molto costosa e i macchinari per effettuare questo processo vengono utilizzati dall’industria alimentare esclusivamente per estrarre pochi elementi funzionali, ad alto valore aggiunto”. Ma non è solo una questione di costi. Manco spiega che “il caffè decaffeinato con i solventi è quello che presenta le maggiori variazioni sensoriali perché i vari passaggi con il cloruro di metilene hanno un forte impatto sul chicco e comportano un notevole stress dal punto di vista del gusto”. C’è poi un’altra motivazione piuttosto importante che, secondo il tecnologo alimentare, porterà le aziende ad abbandonare ben presto il metodo con i solventi chimici ed è quella ambientale: “Queste sostanze sono fortemente inquinanti e non rientrano per nulla negli standard di sostenibilità ambientale verso cui si sta orientando sempre di più l’industria alimentare”.