Contraccezione ormonale: nuove evidenze sui rischi di tromboembolismo venoso

CONTRACCEZIONE

Un recente studio danese ha rivelato importanti differenze nei rischi di tromboembolismo venoso (TEV) associati ai diversi metodi di contraccezione ormonale evidenziando quelli delle pillole combinate

 

La ricerca, condotta su oltre 1,3 milioni di donne e pubblicata su JAMA, evidenzia come le pillole combinate (quelle che contengono due ormoni: un estrogeno e un progestinico) siano particolarmente associate a un aumento del rischio, mentre i dispositivi intrauterini (IUD) non presentano differenze significative rispetto alla non assunzione di ormoni.

Un rischio noto, ma con nuove sfumature

La contraccezione ormonale è da tempo riconosciuta come un fattore di rischio per il TEV, una condizione che può causare trombosi venosa profonda o embolia polmonare. Tuttavia, la ricerca ha approfondito il legame tra il rischio e le formulazioni più recenti, tra cui quelle a basso dosaggio di estrogeni e i nuovi progestinici.

Lo studio ha analizzato i dati di donne di età compresa tra 15 e 49 anni, senza precedenti di trombosi o patologie gravi, per un periodo che va dal 2011 al 2021. Durante questo arco temporale, si sono verificati 2.691 casi di TEV, permettendo agli studiosi di calcolare il rischio relativo per ciascun metodo contraccettivo.

I dati: quali metodi sono più a rischio?

I risultati mostrano che il rischio di TEV varia significativamente tra i diversi metodi contraccettivi. Prima di vedere i risultati della ricerca è bene chiarire una delle unità utilizzate, quella degli “anni-persona”, un’unità di misura utilizzata in epidemiologia per calcolare il tempo totale di esposizione di una popolazione a un determinato fattore di rischio o evento.

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Un anno-persona rappresenta un anno intero vissuto da una singola persona nello studio. Se, ad esempio, una ricerca coinvolge 1.000 persone seguite per 10 anni, il totale degli anni-persona sarà 10.000 anni-persona (1.000 × 10).

Vediamo i risultati dello studio danese.

  • Pillole combinate (estrogeni + progestinico): rischio 4,6 volte maggiore rispetto alle non utilizzatrici (10 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Anello vaginale: rischio aumentato di 4,5 volte (8 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Cerotti transdermici: rischio aumentato di 5 volte, ma con dati limitati (8,1 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Pillole a solo progestinico: rischio inferiore, pari a 1,8 volte rispetto alla non assunzione (3,6 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Impianti sottocutanei: rischio aumentato di 2,4 volte (3,4 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Iniezioni di progestinico: rischio più elevato, con un aumento di 5,7 volte (11,9 casi ogni 10.000 anni-persona).
  • Dispositivi intrauterini (IUD): rischio pari a quello delle non utilizzatrici (2,1 casi ogni 10.000 anni-persona).

Tra le pillole combinate, quelle contenenti progestinici di terza generazione presentano il rischio più alto, con 14,2 casi aggiuntivi di TEV ogni 10.000 anni-persona rispetto alle non utilizzatrici. Anche le formulazioni con estradiolo bioidentico mostrano un incremento del rischio.

Implicazioni per la salute delle donne

Questi dati confermano l’importanza di una valutazione personalizzata nella scelta del metodo contraccettivo. “Le donne devono essere informate sulle differenze di rischio tra le diverse opzioni disponibili,” affermano i ricercatori. “In particolare, chi ha una predisposizione familiare alla trombosi o altri fattori di rischio dovrebbe considerare alternative più sicure, come gli IUD (i dispositivi intrauterini, ndr)”

Nonostante i risultati, gli autori dello studio sottolineano che i benefici della contraccezione ormonale – tra cui il controllo delle nascite, la riduzione dei dolori mestruali e la protezione contro alcune patologie – devono essere valutati rispetto ai potenziali rischi. Inoltre, alcuni metodi, come i cerotti e gli impianti, presentano dati più incerti a causa del numero limitato di casi analizzati.

Un passo avanti nella ricerca, ma con alcune limitazioni

Lo studio presenta alcune limitazioni, come la possibilità di fattori di confondimento non completamente eliminati e la rappresentatività limitata della popolazione danese, che potrebbe non riflettere tutte le fasce demografiche.

Tuttavia, i risultati rafforzano la necessità di un approccio su misura alla contraccezione. “Le donne dovrebbero discutere con il proprio medico le opzioni più adatte alle loro esigenze e al loro profilo di rischio,” concludono gli autori.

Con questi nuovi dati, la ricerca aiuta a orientare le scelte verso una contraccezione più sicura, sottolineando l’importanza di una consulenza informata e di un monitoraggio medico attento.