La bozza di decreto ministeriale che mette sul banco degli imputati i coltivatori bio anche per contaminazioni accidentali indipendenti dal loro operato, rischia – tra multe e decertificazioni – di spingere i produttori a passare all’agricoltura integrata. Come ci spiega Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica.
Con un articolo dal titolo forte, “Biologico: cronaca di una morte annunciata“, abbiamo raccontato come il ministero dell’Agricoltura si appresti a varare nelle prossime settimane: tolleranza zero per i pesticidi nei cibi biologici anche quando la concentrazione è al di sotto della quantificazione analitica (0,01 mg/kg), ovvero sotto lo “zero tecnico”, cioè anche quando è chiara la contaminazione accidentale. A queste concentrazioni il prodotto viene posto in “quarantena” e il certificatore deve approfondire le cause, dimostrando la sua innocenza anche quando si tratta di contaminazioni dovute a campi trattati con la chimica nelle vicinanze. Una norma che sta alimentando subbuglio nel mondo del biologico italiano. Come racconta al Salvagente Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica.
Romano, il decreto residualità gira attorno al cosiddetto residuo zero: nel biologico non ci devono essere residui.
E questo è un paradigma fondamentale che va tutelato e che deve rimanere. La questione è che nel Regolamento 848 c’è scritto che non si può però limitare la circolazione all’interno degli Stati membri di prodotti dichiarati conformi da altri Stati.
Si riferisce alle contaminazioni accidentali…
Le contaminazioni accidentali sono tecnicamente inevitabili: sono quelle ambientali, che non derivano da un dolo dell’agricoltore, e neanche da una sua mancanza di attenzione e cura nella gestione dell’appezzamento o dell’allevamento, ma sono appunto tecnicamente inevitabili o accidentali. Negli altri Stati membri non portano alla decertificazione del prodotto, in Italia sì.
Anche prima scattavano le verifiche di fronte a una contaminazione accidentale.
Sì, e portavano alla decertificazione del prodotto se non si dimostrava l’accidentalità.
Perché è peggio adesso?
Fintanto che tu agricoltore non sei riuscito sul nuovo decreto a risalire alle e motivazioni precise che hanno portato alla contaminazione tecnicamente inevitabile e accidentale, sei responsabile di quello che è successo.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Cosa comporta in pratica questa modifica nella vita di uno che produce bio?
Ci costringono a controllare l’incontrollabile, cioè tutto il contesto ambientale perché molte contaminazioni sono mobili nel contesto dell’abitato, durature, e non dovute a mancanza di cura e di attenzione da parte dell’agricoltore.
Viene poi richiesto di provare che la contaminazione non si ripeterà..
Esattamente, e nel momento in cui tu non la escludi ne accogli la responsabilità, ma se uno non riesce a dimostrarla? Il prodotto diviene decertificato, squalificato e in ottemperanza al decreto 148, potrebbero anche dirti che le tue relazioni tecniche o le tue misure precauzionali di prevenzione non sono sufficienti a garantirti la non contaminazione e quindi oltre alla recertificazione potresti ricevere anche una multa. Di fatto il produttore deve dimostrare di essere innocente, è colpevole fino a prova contraria.
Oggettivamente è difficile.
Noi abbiamo trovato residui di pesticidi anche in cima alle montagne, anche nelle acque più profonde. Visto che l’agricoltura biologica comunque si sviluppa nei contesti rurali, questa cosa sarebbe possibile solo se tutti gli agricoltori fossero biologici. Allora, ancora una volta, l’agricoltore biologico deve in qualche modo difendersi dal contesto. E non è il contesto che è obbligato a non contaminarlo, perché questa sarebbe la vera logica.
E invece non bastano nemmeno le misure di precauzione prese dal produttore.
Se gestisci il tuo campo in bio, attraverso le misure precauzionali, non raccogli dalla file più esterne, metti fascia tampone di almeno 5 metri, e così via, non basta. Se nel campo accanto spruzzano pesticidi controvento, il mio terreno viene contaminato.
E a questo punto, in attesa di verifiche, il prodotto sotto analisi viene bloccato.
Esatto, lo era anche prima, solo che ora sarà molto più complicato dimostrare l’accidentalità. E per colture fresche come l’insalata, per esempio, i tempi lunghi significano buttare il prodotto.
Tra l’altro, nella bozza si parla di tracce, un termine un po’ ambiguo…
È una delle analisi tecniche che abbiamo contestato ovviamente, perché “tracce” non è un dato oggettivo, quindi bisogna capire di che cosa stiamo parlando.
E in più con le modifiche, bastano due tracce minime, anche sotto lo 0,01 mg/Kg, per togliere la certificazione bio al prodotto, senza neanche la verifica sull’accidentalità.
Facciamo un esempio: il mio vicino ha un vigneto, trattato con una miscela di prodotti. Tracce di questo trattamento arrivano sul mio prodotto, fanno l’analisi e mi trovano due principi attivi. Fine dei giochi per me. A monte c’è un grosso problema…
Quale?
Dobbiamo essere coerenti con il resto d’Europa, la nostra produzione è certificata da un regolamento comunitario. Dovremmo fare uno sforzo di omogenizzazione, di interpretazione di regole e casistiche a livello comunitario. Non è possibile che in Italia ci sia rigidità totale e in Germania no, perché a noi ci arriva il prodotto tedesco e i nostri agricoltori italiani sono fregati. Con questa bozza italiana come al solito siamo i più realisti del re. E il problema è che tu non puoi andare a comunicare che il bio italiano è più bio del bio tedesco, questo è sempre stato il grosso limite di questa cosa.
Perché non puoi farlo?
Perché il regolamento comunitario è uno solo, esiste solo un bio, e non puoi comunicare che il tuo è meno sporco di quello di un altro paese, se no prendi sanzioni. L’altra questione decisamente importante è che per l’ennesima volta ci stiamo focalizzando sul prodotto.
Cioè?
Noi dobbiamo tornare a parlare e a fare agricoltura biologica, che è una differenza sostanziale. Il residuo accidentale che mi può capitare non può essere il mio campanello d’allarme, il problema è se su quell’ipotetico vigneto dove mi è capitato, ho fatto dell’agricoltura biologica.
Il paragone è con il sistema integrato e con i prodotti “a residuo zero”…
Esatto, ci stiamo andando a infilare nella certificazione di prodotto e tu senti più qualcuno che ti parla di come diavolo si fa agricoltura biologica? La questione non è soltanto se c’è un residuo zero su una mela, ma se è fatta col biologico.
Perché?
Perché mentre arrivi alla certificazione del residuo zero, puoi utilizzare tutto quello che c’è sul mercato, prodotti che comunque hanno avuto delle esternalità negative nell’ambiente dove li hai usati: insetticidi, fungicidi, antiparassitari eccetera, non hai valorizzato la fertilità del suolo, non hai stoccato il carbonio, non hai fatto tutte quelle positività che l’agricoltura biologica ha fatto come si deve fare, però il prodotto è conforme a questo ipotetico residuo zero.
E a fronte di uno sforzo così grande, sono arrivate anche le multe.
Le multe sono sul Decreto 148, che è la normativa madre da cui discende il “decreto non conformità”. Il 148 prevede per tutta una serie di casistiche delle multe, anche pesantissime per le aziende, sia agricole di produzione primaria che già ad oggi sono state multate per non conformità che erano un tempo gestite da un punto di vista amministrativo con la decertificazione e basta del prodotto che è già un danno per l’azienda. Oggi oltre alla decertificazione hai anche la multa perché non hai gestito il problema.
Però se lo fa con dolo è giusto che lo multino pure.
Ma se lo fa per un errore di gestione oggi questa non conformità, oltre alla decertificazione del prodotto, si genera anche una multa. Se un trasformatore sbaglia nel biologico l’etichettatura va in multa fino al 5% del fatturato globale del gruppo aziendale. Tanti per capirci, una multinazionale che fa pasta e poi fa pasta bio, se fa un errore sulla pasta bio, rischia di pagare fino al 5% del fatturato dell’intero gruppo produttivo, anche se il bio magari nell’ambito commerciale ti rappresenta il 3-4-5%. Con la nuova bozza, anche per le contaminazioni accidentali potrebbero scattare le multe.
Ci sono aziende che hanno già preso queste multe?
Assolutamente, abbiamo tante aziende di produzione primaria che hanno ricevuto la multa, su problematiche che fino a un anno fa segnalavamo e gestivamo.
Invece così rischi di ammazzare le aziende.
Peraltro, questi errori li stiamo riscontrando ovviamente nelle aziende medio, medio-piccole, perché questa benedetta la normativa è un massacro, l’848 è comunque un regolamento molto complicato e noi continuiamo ad accollare responsabilità all’azienda. Non possiamo continuare a riversare su di lei tutti gli oneri amministrativi e burocratici che ci inventiamo a Roma, questo è il problema.
C’è il rischio che alcuni produttori a questo punto lascino il bio e passino all’agricoltura integrata?
L’abbiamo denunciato questa cosa: il 148 in primis e il non conformità stanno rischiano di far uscire le aziende dal mondo del biologico, oggi fare il biologico è estremamente pericoloso, con un rischio di impresa non gestibile dall’imprenditore stesso. La domanda è quale imprenditore di buonsenso si mette a far biologico, soprattutto essendoci delle alternative che ormai sono di pari remunerazione da un punto di vista sia finanziario di Pac, che di valore di prodotto commercializzato, come l’integrato. E questo nonostante i dati di non conformità del nostro settore siano fra i più bassi di tutto l’agroalimentare.
Una normativa così nasce da cialtroneria o da un preciso disegno politico?
Il biologico ormai è normato da gente che non ha più contezza del settore, che non conosce più la normativa bio, che non ci crede, e che si fa muovere dalla pancia della gente.
In che senso?
Che nascono da pseudoscandali, inchieste giornalistiche contro il bio.
Eppure il ministro delle Politiche agricole, Lollobrigida, è considerato molto vicino a Coldiretti, tutt’altro che degli sprovveduti.
Ma per Coldiretti e le altre organizzazioni professionali qual è il peso del biologico all’interno? È il 4, forse 5 per cento dei loro soci.
Però Coldiretti è una di quelle che negli ultimi anni si è allargata nel mondo del biologico.
Loro non fanno politica per questo settore. Ad esempio, nel Copa Cogeca (rete dei maggiori sindacati agricoli europei), negli massimi livelli istituzionali di rappresentanza che hanno, non parlano del Bio, parlano delle Ngt (nuovi ogm, ndr), parlano di bloccare il Sur (La proposta del regolamento sul dimezzamento dell’uso dei fitofarmaci entro il 2030, ndr). Che poi si chiami Coldiretti o Coldiretti bio, le politiche delle organizzazioni professionali sono indirizzate esclusivamente alla tutela della loro stragrande maggioranza di rappresentanza. Noi siamo una simpatica appendice che gli serve per non escludere nessuno, per farci giocare con le associazioni, per gestire un pezzettino irrisorio del loro punto di riferimento.
Un giudizio molto netto, il suo.
Al tavolo dove partecipano a livello ministeriale le organizzazioni professionali si parla di ortofrutta, si parla di ortofrutta a bio? No. Si parla de decreto riduzione del packaging, delle plastiche, di tutto, ma mai di biologico, perché non è il settore strategico di rappresentanza di queste organizzazioni.