Il Tribunale di Parigi ha condannato Sanofi a pagare 285mila euro per risarcire la famiglia di due bambini nati con gravi malformazioni per l’assunzione di Dépakine durante la gravidanza della mamma.
Il 9 settembre 2024, il tribunale giudiziario di Parigi ha emesso una sentenza destinata a fare storia. Il colosso farmaceutico Sanofi è stato condannato a risarcire la famiglia di Marine Martin, l’informatrice che ha denunciato i rischi del valproato di sodio (commercializzato con il nome di Dépakine, tra altri), un farmaco antiepilettico associato a gravi malformazioni congenite e disturbi neuroevolutivi quando assunto durante la gravidanza. La somma del risarcimento, pari a 285.000 euro, rappresenta un importante traguardo per la famiglia Martin, ma soprattutto apre la strada a una serie di azioni legali che potrebbero rivoluzionare il modo in cui le vittime di farmaci difettosi accedono alla giustizia.
Il caso Martin: un simbolo di resilienza
Marine Martin non è solo una madre che ha visto i suoi figli, Salomé e Nathan, nascere con gravi malformazioni e sviluppare disturbi neuroevolutivi a causa dell’assunzione di Dépakine durante le sue gravidanze. È anche la presidente dell’Apesac, l’associazione per la difesa delle vittime del valproato di sodio, e una delle figure chiave nella battaglia per il riconoscimento dei danni causati da questo farmaco. La sua determinazione ha contribuito a portare alla luce una delle più gravi vicende farmaceutiche degli ultimi decenni, coinvolgendo migliaia di famiglie in Francia e nel mondo.
L’azione legale intrapresa dalla famiglia Martin, avviata nel 2012, ha incontrato numerosi ostacoli lungo il cammino. Il principale era rappresentato dal termine di prescrizione: secondo la normativa sulla difettosità dei prodotti, la responsabilità del produttore farmaceutico decade dieci anni dopo la somministrazione del farmaco. Questo significava che, per Salomé, nata nel 1999, il termine di prescrizione era scaduto nel 2008, mentre per Nathan, nato nel 2001, il limite era stato raggiunto nel 2011. Tuttavia, come sottolineato dall’avvocato della famiglia, Charles Joseph-Oudin, Marine Martin non sapeva nemmeno che ci fosse un problema con il suo trattamento in quegli anni. Questo è un problema comune a molte famiglie colpite dagli effetti del Dépakine: i danni emergono solo col tempo, quando ormai sembra troppo tardi per agire.
La colpa di Sanofi: una negligenza imperdonabile
A ribaltare questa situazione è stata la riconosciuta “colpa” di Sanofi, un elemento chiave che ha permesso di oltrepassare il termine di prescrizione e ottenere giustizia. Il tribunale ha infatti stabilito che Sanofi, pur essendo a conoscenza degli effetti collaterali gravi del valproato di sodio, non ha agito in modo adeguato per informare le pazienti e prevenire i danni. La sentenza del giudice è chiara e inequivocabile: “Mantenendo in circolazione un prodotto sapendo che era difettoso, senza fornire un’informazione diretta e adeguata alle pazienti riguardo ai rischi evidenziati dalla letteratura scientifica e senza condurre studi più approfonditi e sistematici sugli effetti del farmaco, il laboratorio ha commesso una colpa“.
Sanofi era al corrente delle prime segnalazioni di disturbi neuroevolutivi legati al valproato di sodio già a partire dalla metà degli anni ’80. Nonostante ciò, la sua risposta si è limitata a richiedere un semplice aggiornamento delle indicazioni sul foglietto illustrativo, un’azione giudicata insufficiente dal tribunale. Questa negligenza ha avuto conseguenze devastanti per migliaia di famiglie, che hanno visto i propri figli nascere con gravi malformazioni o sviluppare disabilità intellettive senza aver mai ricevuto un avvertimento adeguato.
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I lunghi anni di silenzio sul Depakin
Dopo il 1998, quando sono cambiate le prescrizioni normative , la colpa di Sanofi è stata quella di aver lasciato sul mercato un prodotto cosiddetto “difettoso”, cioè che non garantiva la sicurezza attesa, anche se i rischi erano ben documentati . Si è dovuto attendere fino al 2006 perché comparisse l’avviso “non raccomandato durante la gravidanza” sul foglio illustrativo. Fino ad allora, Sanofi avvertiva di un possibile adattamento del trattamento e di un monitoraggio speciale, ma scrivendo: “È importante non interrompere il trattamento perché c’è il rischio di recidiva di convulsioni che potrebbero avere conseguenze per te o per il tuo paziente”.
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Sul documento destinato ai medici si poteva leggere: “In una donna epilettica trattata con valproato, non sembra legittimo sconsigliare il concepimento. Se è pianificata una gravidanza, questa è un’opportunità per rivalutare l’indicazione alla terapia antiepilettica”.
A partire dal 2018, il valproato di sodio è stato completamente controindicato nelle donne in età fertile.
La vittoria delle vittime: un precedente fondamentale
Il caso della famiglia Martin segna un punto di svolta per le numerose altre vittime del Dépakine e di farmaci simili. Fino a oggi, molte famiglie si sono sentite impotenti di fronte alla giustizia, convinte che fosse ormai troppo tardi per avviare una causa legale. Tuttavia, questa sentenza dimostra che il termine di prescrizione può essere superato se si dimostra la colpa del produttore. La strategia legale utilizzata nel caso Mediator, un altro scandalo farmaceutico francese, ha aperto la strada anche per le vittime di altri farmaci. Alla fine del 2023, la Corte di cassazione ha confermato che il termine di prescrizione può essere interrotto in presenza di una colpa da parte del produttore, stabilendo un importante precedente che è stato ora applicato anche al caso del valproato di sodio.
Charles Joseph-Oudin, avvocato della famiglia Martin, ha commentato con soddisfazione la sentenza: “Con tutte le decisioni già emesse in ambito civile, l’incriminazione di Sanofi nel procedimento penale e l’ammissibilità dell’azione collettiva, ora abbiamo un quadro che va nella stessa direzione: il riconoscimento della colpa e la responsabilità di Sanofi”. La strada è dunque aperta per altre famiglie che, fino a questo momento, si erano rassegnate a non ottenere giustizia.
Marine Martin: un esempio di coraggio e speranza
Marine Martin ha espresso la speranza che questa sentenza possa incoraggiare altre famiglie a farsi avanti. “Troppe persone si sono sentite abbandonate e senza possibilità di ricorso”, ha dichiarato. La sua battaglia personale, durata anni, rappresenta un esempio di resilienza e determinazione, e il suo impegno ha dato voce a migliaia di vittime che, per troppo tempo, sono rimaste nell’ombra. L’Apesac, l’associazione da lei fondata, è diventata un punto di riferimento per tutte le famiglie coinvolte, fornendo supporto legale e psicologico e continuando a lottare per il riconoscimento dei diritti delle vittime.
Un futuro incerto per Sanofi e una giustizia da riscrivere
La condanna di Sanofi nel caso Martin è solo l’ultimo capitolo di una vicenda legale che è ancora ben lontana dalla sua conclusione. Il laboratorio farmaceutico, già sotto indagine penale, potrebbe trovarsi ad affrontare altre cause legali da parte delle famiglie che ora, grazie a questa sentenza, vedono riaprirsi la possibilità di ottenere giustizia. L’azione collettiva contro Sanofi, recentemente ammessa dai tribunali, potrebbe avere conseguenze devastanti per l’azienda, con potenziali risarcimenti che potrebbero raggiungere cifre astronomiche.
La vicenda del Dépakine solleva anche interrogativi più ampi sulla regolamentazione farmaceutica e sul ruolo delle aziende nel garantire la sicurezza dei propri prodotti.