Emergency: “Così nei nostri ambulatori aiutiamo la nuova Italia impoverita e marginale”

Emergency
foto di Alessandro Annunziata

Andrea Bellardinelli di Emergency racconta il lavoro degli ambulatori in Italia, per aiutare migranti, senzatetto e nuovi poveri italiani. Dal 6 all’8 settembre il festival dell’Ong a Reggio Emilia

 

“La cura diventa un messaggio politico con la P maiuscola, perché produce una società sana, e una società se è sana può essere lucida e coesa. Se hai fame, se hai sempre bisogno di lavorare e ti ritrovi sfruttato come nei campi dei braccianti dove vediamo situazioni di sfruttamento importante, questa spacca la società”. Andrea Bellardinelli, responsabile di Programma Italia Emergency, riassume con queste parole il senso profondo dell’intervento della Ong nelle zone periferiche del nostro paese con ambulatori fissi e mobili. Bellardinelli interverrà alla 4° edizione del Festival di Emergency (dedicata a “Le persone”) che si svolge a Reggio Emilia dal 6 all’8 settembre. A 30 anni dalla fondazione di Emergency, conosciuta soprattutto per la presenza costante nei territori di guerra con i propri presidi medici, abbiamo chiesto a Bellardinelli di raccontare come l’Ong opera in Italia.

Bellardinelli, in che anno è partito il Programma Italia?
Il programma Italia è partito nel 2006 a Palermo, lì c’è stata una bella volontà e sinergia per cui Gino Strada (fondatore di Emergency, ndr) stava incominciando a vedere che comunque in Italia alcuni diritti sull’accessibilità, le cure sanitarie, venivano disattesi, e chiaramente – la sua lungimiranza è difficilmente eguagliabile ad oggi – e ha deciso di iniziare questa avventura in Italia.

In cosa consistono queste strutture?
Sono degli ambulatori di medicina primaria, di medicina di base, un po’ come l’ambulatorio del nostro medico di famiglia, per capirci, aggiungendo però delle figure centrali, che sono i mediatori culturali. Ormai siamo, per fortuna, una società multietnica e quindi con questi mediatori, dello staff sanitario, medici, infermieri, psicologi, si sta cercando, e si è incominciato a cercare allora, di orientare, di curare chi veniva a chiedere chiunque questi fosse. Noi abbiamo il dovere di ascoltarlo, curarlo e poi indirizzarlo alle strutture del Sistema sanitario nazionale.

Oggi, gli ambulatori fissi di Emergency sono a Marghera, Castel Volturno (CE), Napoli, Sassari, Vittoria nel ragusano e Polistena (RC). Gli ambulatori mobili, che ogni giorno della settimana raggiungono zone marginali, sono a Milano, Rosarno, e Marina di Acate (RG) e Santa Croce Camerina (RG). A Brescia e Milano sono presenti anche sportelli di orientamento socio-sanitario.
A un certo punto del nostro percorso abbiamo deciso di occuparci di alcuni aspetti di questa fragilità che sono le periferie delle città importanti o particolari, per esempio Castelvolturno, che sono degli hub di ritorno delle popolazioni da una stagione all’altra del raccolto. L’utilizzo di una clinica mobile permette di avere un calendario settimanale fisso che abbraccia più punti della periferia, e quindi riusciamo ad avere un areale sanitario di gestione più vasto.
La sanità che va verso il paziente.
A Milano, per esempio, c’è sicuramente una rete di trasporti importante, ma le fragilità che poi incontriamo spesso in questi luoghi poi portano ad avere anche problemi per spostarsi, per andare a fare le visite di secondo livello. Va spiegato un po’ il percorso, che mezzi prendere, c’è tutta una cura dell’orientamento e quindi grazie a queste cliniche mobili riusciamo a essere il lunedì nella zona A, il martedì nella zona B e il mercoledì nella zona C e così via.
Quali sono i tipi di interventi che fate di più?
Medicina di cure primarie, la famosa primary health care per gli addetti ai lavori, quindi cure primarie, che significa ascolto.

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Perché non vanno al pronto soccorso?
Se una persona sta male e non sa come rivolgersi alla guardia medica, se non ha scelte va in pronto soccorso, ma questa non è una pratica corretta perché si conoscono bene tutti i problemi di intasamento, i codici bianchi dei pronto soccorso. E i costi: una visita in pronto soccorso costa mediamente un 35% in più rispetto a una visita ambulatoriale, perché c’è un team dedicato, ma alle urgenze, alle emergenze. Se c’è un sistema efficiente ed efficace, i famosi ambulatori di continuità o le guardie mediche, si va lì, altrimenti un homeless, un nuovo povero piuttosto che una persona con delle fragilità, un migrante, ha difficoltà a districarsi in questo sistema. Da noi c’è un lavoro proprio di squadra, olistico: il medico cura, l’infermiere fa gli esami, il mediatore spiega con pazienza come si deve curare e nel caso orienta il paziente verso una visita specialistica, che noi non facciamo.

Da 2006 a oggi sono passati tanti anni. C’è stata anche una variazione di tipologie di persone che si rivolgono ai vostri ambulatori?
Purtroppo sì, abbiamo iniziato con la fascia più vulnerabile nel 2006, i migranti, le persone che uscivano dall’accoglienza, le persone che rimanevano irregolari, gli homeless. E purtroppo nel tempo sono aumentate le nuove povertà anche degli italiani.

Perché un italiano viene da voi piuttosto che andare a pronto soccorso?
Un italiano nuovo povero ha alcune possibilità. Se il Comune mette a disposizione una via fittizia può chiedere chiaramente la residenza fittizia e quindi può uscire dallo stato di homeless, perché poi dopo un po’ di anni si perdono i documenti, e perdendo i documenti si perde la tessera sanitaria, perdendo la tessera sanitaria si perde il medico di base, quindi uno o va in pronto soccorso o viene da noi.

Se un italiano perde casa, dopo un po’ perde anche la tessera sanitaria?
Sì, è legata alla residenza.

Quindi diciamo che gli italiani che si rivolgono a voi sono essenzialmente homeless?
O persone in difficoltà, cioè nuclei familiari in difficoltà. C’è una soglia Isee che chiaramente tutela una serie di cose. Questa soglia però sappiamo non essere incredibilmente alta. Quindi parliamo di situazioni di appena sopra la soglia dell’indigenza, che però hanno forti difficoltà.

Perché loro non vanno all’ospedale, vengono in ambulatorio?
Loro potrebbero rivolgersi al pronto soccorso, hanno comunque un medico di base, ma mettiamo anche la difficoltà psicologica di dire 2sono povero e devo chiedere al mio medico di base piuttosto che alle istituzioni una serie di cose”. C’è anche una fragilità psicologica che subentra.

Come reperite i fondi che vi servono per lavorare in Italia? Sempre con i donazioni private o in questo caso c’è anche un accordo con le istituzioni?
No, noi non abbiamo ad oggi finanziamenti dalle aziende sanitarie. Ci muoviamo per il 99% con fondi istituzionali di Emergency, attraverso una raccolta fondi che va dal grande donatore piuttosto che la fondazione che ci supporta.

Le Regioni non vi danno nulla.
Al momento no, siamo ovviamente aperti a discuterne. Chiaramente il nostro lavoro ha anche un messaggio valoriale di inclusività verso il quale non possiamo far finta di niente, noi accogliamo e curiamo tutti, sia regolari sia non regolari, perché il diritto alla cura parla chiaro, va garantito.

Uno dei punti centrali è forse il rapporto con la sanità in questo paese.
Certo. In Italia il pronto soccorso ha come mandato quello ovviamente di accogliere e stabilizzare tutti e guardare tutti. È chiaro che se ci affidiamo solo il pronto soccorso la sanità esplode da un punto di vista gestionale. Pensiamo che sia la strada giusta tutta questa discussione sul PNRR, le case di comunità, gli ospedali di comunità, cioè questo potenziamento dei luoghi che nel territorio possono dare quello che noi nel nostro piccolissimo stiamo cercando di fare, cioè un primo ascolto, una prima cura, un orientamento a seconda del tuo status amministrativo e dei diritti che hai. Però bisogna dire per onestà professionale e intellettuale che la situazione in Italia è molto a macchia di leopardo, esistono realtà virtuose.

Eppure la sanità pubblica sembra in grossa difficoltà, più che in passato.
Noi richiediamo ogni anno lo sforzo per ad esempio assumere in organico impianta stabili dei mediatori culturali che sono una figura chiave non solo per la traduzione del povero medico che deve capire culture differenti e quindi linguaggi differenti per effettuare una buona diagnosi dei sintomi e della cura, ma anche perché fanno risparmiare tantissimo nel medio e breve periodo, perché capire la cura giusta, capire i sintomi, orientare il paziente nei corretti presidi, fa risparmiare tutto il sistema.

E poi, in una società ideale, Emergency dovrebbe essere libera di occuparsi di zone di guerra e in Italia dovrebbe bastare la sanità pubblica per tutti quelli che sono in questo territorio. In un certo senso la vostra è una supplenza
Sì, però è anche un messaggio. La cura diventa un messaggio politico con la P maiuscola, perché produce una società sana, e una società se è sana può essere lucida e coesa. Se hai fame, se hai sempre bisogno di lavorare e ti ritrovi sfruttato come nei campi dei braccianti dove vediamo situazioni di sfruttamento importante, questa spacca la società. E non dimentichiamoci appunto che è inevitabile la contaminazione con altre culture e sarà inevitabile porsi la domanda di come essere coesi dando possibilità di lavoro.