A conferma del boom del second hand anche il colosso svedese si lancia nel mercato dell’usato con una piattaforma che permette la vendita e l’acquisto diretto di mobili di seconda mano
Anche il colosso svedese dei mobili low cost Ikea si lascia sedurre dal mercato dell’usato e lancia una sua piattaforma per la vendita e l’acquisto di mobili di seconda mano. Il servizio si chiama Ikea Preowned e partirà prima a Madrid e Oslo per poi estendersi a livello globale. L’azienda ha già un sistema con cui acquista mobili usati dai clienti e li rivende in negozio, ma la nuova piattaforma permetterà ai clienti di vendere direttamente l’uno all’altro. Gli utenti inseriscono il loro prodotto, con foto e prezzo di vendita, mentre il database porta le proprie immagini promozionali e le proprie misurazioni.
A proposito di mercato dell’usato, nel numero del Salvagente di agosto abbiamo pubblicato un approfondimento sul boom del second hand che, oltre ad aver raggiunto un volume d’affari pari se non addirittura superiore rispetto al mercato del nuovo, è diventato una vera e propria moda, soprattutto tra i giovani. La generazione Z è la più propensa all’acquisto di seconda mano che, oltre a generare un risparmio economico, è sinonimo di uno stile di vita attento a determinati valori ecologici e sociali, in contrapposizione con il fast fashion che invece spinge ad acquistare continuamente capi nuovi, generando un impatto ambientale devastante. Secondo l’ultimo rapporto di ThredUp, il mercato globale dell’abbigliamento di seconda mano dovrebbe raggiungere la cifra di 350 miliardi di dollari entro il 2028, superando anche il valore del mercato del fast fashion previsto per 184 miliardi di dollari.
A commentare il fenomeno il professore emerito di Sociologia dei processi culturali dell’Università di Roma La Sapienza Mario Morcellini secondo cui “la crescita del mercato dell’usato ha aspetti molto interessanti, perché rispecchia i cambiamenti culturali, prima che economici, di una società e del rapporto che si ha con gli oggetti”. “Certo poi c’è il risvolto ambientale – aggiunge Morcellini – Se in una prima fase questo mercato è caratterizzato da un forte elemento di sostenibilità, perché consente agli oggetti di sopravvivere ai padroni, dall’altro lato va ad alimentare le discariche delle cose invendute e bisogna assicurare forme di smaltimento più sostenibili”. Il servizio, infatti, continua con una parte dedicata proprio all’insostenibile leggerezza dell’usato in cui si analizza il fatto che per molti marchi, fast fashion compreso, la tendenza ad aprire canali per l’usato è solo un modo per apparire più sostenibili, senza accennare a diminuire la produzione. In questo modo però si rischia di generare ulteriore inquinamento dovuto ai 3-4 viaggi che compie uno stesso oggetto. Un viaggio, quello dei resi, che è stato fotografato di recente da un’indagine condotta da Greenpeace e Report che ha tracciato gli spostamenti di 24 capi di abbigliamento del fast fashion rivenduti sulle principali piattaforme di e-commerce, tra cui Amazon, Temu e Shein. In 58 giorni i vestiti hanno fatto un viaggio di 100mila km attraverso 13 paesi europei più la Cina ed ogni capo ha percorso in media 4.500 km.
Il servizio termina con un’intervista a Fabrizio Premuti, presidente di Konsumer Italia, che spiega quali sono le tutele e i diritti e come districarsi nel panorama di costi e commissioni che affollano le piattaforme di questo “nuovo” mercato.
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